LA DIFFERENZA SESSUALE E L'IMPRESA

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cifrante, direttore dell'Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

Carlo B. è socio di maggioranza di tre aziende, che, complessivamente, fatturano circa 150 milioni di euro all’anno. Di recente, si è imbattuto in un’esperienza che non avrebbe mai nemmeno immaginato in vent’anni di attività. Poiché una delle aziende non accennava a riprendersi da una crisi intervenuta l’anno scorso, in seguito alla perdita di due clienti importanti, tre mesi fa gli venne la felice idea di rivolgersi a R. P., uno dei commercialisti di grido del centro-nord.
Con lo zelo del medico  che deve salvare un malato dalla morte, R. P. volle visionare tutto lo “storico”, non solo dell’azienda per la quale gli era stato chiesto un parere, ma anche delle altre due. Ore di conversazione con Carlo B. e con i suoi soci. Ma qualcosa non convinceva nel suo modo d’interrogare: sembrava un p.m. in un’aula di tribunale, più che un esperto che si accinge a diventare un interlocutore e pertanto ascolta con attenzione le vicende particolari e specifiche della storia che gli viene raccontata. E, infatti, allo scoccare del primo mese di consulenza, ecco R. P. emettere il suo verdetto: “Basta, Carlo, lei ha dato troppa libertà ai suoi soci, se continua così la porteranno alla rovina. C’è un’unica soluzione: eliminarli”. Esterrefatto, Carlo B. non credeva alle sue orecchie. Aveva chiesto un parere di tipo economico, un consiglio sugli investimenti da fare a medio e lungo termine per rilanciare la sua azienda in crisi, senza appesantire le altre due che invece andavano a gonfie vele anche quando le acque non erano del tutto calme. E, invece, si ritrovava redarguito sul suo comportamento verso persone che avevano contribuito a far crescere l’azienda e che, in un momento di difficoltà come quello attuale, sembravano aver perso la testa: non trovavano soddisfazione nel lavoro e la cercavano altrove, ma lui non si lasciava scoraggiare, mai aveva pensato che i suoi soci avessero gettato la spugna, che non volessero combattere. Capiva che molto dipendeva da lui, era lui stesso disorientato, ma nel momento in cui lui avrebbe trovato la direzione da seguire verso la qualità, di nuovo il dispositivo d’impresa si sarebbe instaurato dando risultati meravigliosi.
R. P. non ha capito proprio nulla della sua azienda, tanto meno di Carlo B. Eppure – qui l’assurdità dell’esperienza di questi giorni –, a distanza di tre mesi dal conferimento dell’incarico, niente di nuovo ha prodotto, se non un colpo di scena plateale al cospetto di persone che non erano informate dei precedenti: ha sbattuto sul tavolo tutti i documenti dell’azienda e si è dimesso, insultando Carlo B. con le volgarità degne del più stupido degli umani: “Basta! A distanza di tre mesi, lei va ancora a pranzo e a braccetto con i suoi soci e non ascolta una parola di quello che io le suggerisco. Non capisco perché mi ha interpellato, se poi continua a fare di testa sua. Sa cosa le dico? Io non ho bisogno dei suoi soldi”. Almeno, il medico che vuole salvare il malato dalla morte tutt’al più minaccia di abbandonarlo se lui non segue la cura prescritta, ma non è così arrogante da farlo veramente. Se proprio crede nella salvezza, presta il suo soccorso finché il malato è in vita. E, tuttavia, né Carlo B. né la sua azienda in crisi sono malati da salvare, né anomalie da riportare alla norma. Per quale invidia sociale un consulente può pretendere di essere seguito da chi invece fa le cose secondo l’occorrenza, quindi, segue soltanto il tempo? Chi si mette al posto del tempo poi assume la facoltà di taglio, taglia corto e taglia la corda. D’altronde, è l’unica cosa che resta da fare a chi vede davanti a sé la fine. Per Carlo B. le cose non finiscono, quindi, c’è una bella differenza nella sua vita. Carlo B. ha l’avvenire dinanzi, anziché la morte. Per lui le cose non significano perché la sua valutazione non parte dalla fine del tempo. Apparentemente, sopravvaluta l’oggetto della sua impresa, ma come potrebbe sottovalutarlo, se l’oggetto è la condizione stessa del viaggio dell’impresa? Come avrebbe potuto Colombo raggiungere l’America se non si fosse sentito provocato dalla profezia, anziché dalla ricerca del male per la sua eliminazione?
Il commercialista R. P. nega la differenza sessuale, quella che contribuisce al caso clinico, nell’infinito della parola, dove la quantità, attraverso la scrittura, diviene qualità. Presuppone invece la parità sessuale, altra faccia della differenza rappresentata nel diverso, nella donna, nel folle, nello straniero. Per R. P. l’imprenditore che non segue i canoni dell’economia e della finanza e le sue formule algebriche e geometriche è pazzo. R. P. giudica incompatibile la sua pratica di consulente con la libertà che sta al principio della parola e dell’impresa di Carlo B. Incompatibilità della differenza sessuale, differenza che non si può rappresentare nella politica della competizione e nell’ideologia dell’invidia. Come notava Armando Verdiglione nella conferenza del 6 novembre u.s., la parola è astrusa, mentre “non è astruso il metalinguaggio, non è astruso il canone occidentale e nemmeno il formato occidentale. La contabilità rientra nel formato”. Il viaggio di ciascuna impresa, nel suo processo di valorizzazione, è unico. Come possono farsi paragoni? Eppure, la caccia alla differenza sessuale parte dalla caccia alla testa: “Come ha fatto il suo ideatore a creare una realtà così importante a livello internazionale?”, si chiedeva negli anni ottanta l’inquisizione dinanzi ai risultati di un’impresa culturale, classificandola come opera del demonio, mentre nulla si chiedeva dello spaccio di luoghi comuni come psicofarmaco distribuito per la calma nazionale e mondiale. Era questa la prova che nell’intendimento sta l’estremo pericolo, il pericolo della differenza sessuale. Per questo le donne, da sempre considerate segno della differenza sessuale, dovevano essere neutralizzate a fini socialmente utili: il piacere, la vendita, la riproduzione. Se la differenza precede il fare e l’impresa, è segregativa, serve il razzismo e il pregiudizio. R. P. potrà divenire interlocutore di Carlo B. soltanto trovandosi nel rischio d’impresa, che è di ascolto e d’intendimento, senza più pericolo di morte.