LA SCIENZA DEL TERZO MILLENNIO: UTOPIA E MEMORIA

Qualifiche dell'autore: 
ricercatore, cifrante

Nella storia degli umani, l’esordio di ciascun secolo e di ciascun millennio ha visto anche l’affermazione di grandi tematiche, ciascuna volta differenti da quelle precedenti. Se il secondo millennio era iniziato nel vasto scenario delle grandi religioni monoteistiche, la cristiana e la musulmana, con il succedersi dei secoli, in occidente, sono andati precisandosi nuovi elementi della scena, riguardanti via via il rinascimento dell’arte, il rinnovato interesse per la lingua, la riscoperta della filosofia e del diritto, la postulazione della politica come arte e come scienza.
A partire soprattutto dal sedicesimo e diciassettesimo secolo, da Galileo, Bacone, Copernico, Newton, la questione della scienza ha assunto un’importanza sempre crescente, fino a divenire, nel diciannovesimo secolo, prevalente e quasi totalizzante rispetto alle altre tematiche, religione compresa. Se nei primi tempi, e per certi aspetti fino ad anni recenti, è stato inteso come scienza il complesso di conoscenze intorno ad un determinato oggetto, ottenute attraverso una metodologia definita, a iniziare dall’apriorismo di Whewell e dall’induttivismo di Stuart Mill sono stati riconosciuti quegli elementi di concretezza che hanno distaccato sempre più la scienza dal discorso cartesiano e dalla gnoseologia di Kant. Poincaré, Helmoltz, Nagel e, in anni più recenti, Wittgenstein, Koyré, Quine, Kuhn, Feyerabend, in parte lo stesso Popper, hanno accentuato l’autonomia della scienza dalla gnoseologia in favore della crescita delle conoscenze scientifiche, aprendo la strada per un verso all’empirismo logico, a Putnam, Grünbaum, Nowak e altri, per l’altro alla metodologia dei programmi di ricerca scientifica, a Lakatos e, per quanto riguarda soprattutto la medicina e la biologia, a Campbell e a Lorenz. 
In questo rinnovato scenario hanno trovato allocazione precipua le tantissime scoperte e innovazioni in campo scientifico dell’ultimo secolo, in parte sorte da ricerche individuali – su tutte, quelle di Peano, Hertz, Marconi nell’ambito della fisica – in parte a completamento di linee di ricerca avviate nell’ambito dell’università e dell’impresa, attraverso un lavoro di équipe, spesso, e con importanza crescente, sostenuto dai caratteri dell’interdisciplinarietà, dell’intersettorialità e dell’integrazione. L’ulteriore elemento di grande importanza per la scienza nell’esordio di questo millennio, in direzione della sua concretezza, è il successo, decretato a una scoperta, dal favore che incontra presso il pubblico, effetto, a sua volta, anche di efficaci campagne di comunicazione.
Il terzo millennio, per questo aspetto, si è aperto indubitabilmente con tre grandi tematiche. La comunicazione, intesa sia come scienza applicata, riguardante le telecomunicazioni e la telematica, sia come scienza concernente le differenti modalità degli umani di comunicare tra loro. L’informatica, nel suo aspetto macchina, hardware e software, e come linguaggio e intelligenza artificiale. La salute, non più limitata alla dicotomia stare bene/stare male, ma propositrice di strategie di vita e paradigma in direzione della sua qualità, sostituendosi, per molti aspetti, alla tradizionale speculazione filosofica. 

L’interesse degli umani, il numero e la vendita di riviste e di libri specializzati dedicati a questi temi, il numero di ore e l’investimento pubblico e privato riservati a essi nei news programme e nei news media, e soprattutto l’aspetto economico e finanziario, con investimenti diretti e borsistici e conseguenti utili incommensurabili rispetto a qualunque altro settore dell’economia attuale, hanno tolto la scienza dall’ambito esclusivo dei cosiddetti esperti e addetti ai lavori, testimoniando nella loro coralità un successo e un’adesione riservati in altri momenti e in altre contingenze storiche solamente ai fenomeni religiosi e alle grandi ideologie. Oramai, non ci si chiede più se la medicina, la psicanalisi, la stessa informatica siano scienze epistemologicamente corrette, o semplicemente scienze, oppure no. La vastità dell’oggetto di cui si occupano e l’interesse che suscitano negli umani fa sì che vengano considerate e utilizzate come tali, lungo una metodologia che va affinandosi attraverso il pragma e la ricerca, non a partire da un’episteme. Prevedono dunque, già nella loro proceduralità, la variazione costante e originaria e il molteplice, piuttosto che la stessità basata sull’adesione al principio del fondamento unico. La cifrematica, che si è occupata approfonditamente e a lungo di comunicazione, di medicina, di informatica, così come di psicanalisi, ha dato, della scienza, molte formulazioni interessanti, fra cui è particolarmente pertinente quella che indica che la scienza incomincia con la divisione di ciascun elemento da se stesso e, differendo, si porta in una struttura ed esiste in essa, introducendo alla grammatica delle cose.
Questo modo nuovo d’intendere la scienza secondo una variazione costante e una molteplicità sta facendo sì che, accanto agli aspetti d’integrazione, d’interdisciplinarietà e di trasformazione, si perda tuttavia di vista la questione dell’autore e dell’autorità in campo scientifico. Riguardo all’informatica, ben pochi di noi, operando con essa, si ricordano di Wiener o di Ceccato, padri della cibernetica, di solamente pochi anni fa, o del matematico Boole, che oltre un secolo e mezzo fa, grazie alla scoperta di un’unica struttura che consente operazioni sia logiche sia algebriche, e l’accoppiamento di tale struttura a sistemi fisici, ha di fatto posto la base più importante per la costruzione e il funzionamento dei calcolatori. Dalla scienza e dalla sua pratica vengono sempre più allontanati non solamente l’“ipse dixit” aristotelico e il metodo sillogistico della conoscenza, ma anche la proceduralità basata sull’autorità, anche quella linguistica. Con internet, oggi, ciascuno si sente autore di un modo di procedere preteso proprio; ciascuno, apparentemente, sembra farsi soggetto assoluto della propria ricerca, sembra poter creare una realtà, naturalmente virtuale, a proprio uso e consumo, secondo una variabilità del tutto arbitraria, priva di segno, in un “hic et nunc” senza un futuro che non sia scandito dall’uscita di nuovi programmi informatici e, sempre più spesso, anche senza memoria. Allo stesso tempo, la telematica e le telecomunicazioni sembrano poter mettere a disposizione un numero sempre più elevato di connessioni e di operatori, fino a tendere, attraverso i sistemi cellulari e satellitari e la nuova tecnologia UMTS, all’infinito, che, per come viene inteso, assomiglia molto alla circolarità perfetta. 
Tutto questo sta producendo una nuova utopia, basata sulla credenza di poter giungere alla comunicazione totale, attraverso la sempre maggiore facilitazione linguistica e l’espunzione del segno, in una rappresentazione della realtà ben lontana dal reale e con una sempre minore portata simbolica. Con internet ciò sta avvenendo, con l’affermarsi, in esso, di una lingua sine flexione che si avvicina sempre più all’unilingua (apparentemente coincidente con l’inglese) e, attraverso una manipolazione e una fissazione dell’immagine, di una rappresentazione della differenza sessuale senza le donne (tale è in fondo anche la pedofilia). Come avviene con quell’aspetto della realtà virtuale riguardante la sua applicazione all’idea di corpo. Così, in campo letterario e in altra epoca, aveva fatto Villiers de L’Isle-Adam con il romanzo Eva futura, preconizzando la possibilità della realtà virtuale di far fare a un corpo, già dato come perfetto, ciò che noi desideriamo che faccia, quasi a realizzazione dell’antica fantasia d’animazione (dal Platone del dialogo di Menone al mito del Golem). La realtà virtuale, come Asimov aveva più volte ipotizzato, non è un semplice prodotto dell’immaginazione, ma diviene un modo per rendere più realistico della realtà ciò che l’immaginario costituisce. Il corpo virtuale, al di là delle simulazioni utilizzate opportunamente e funzionalmente per la ricerca, ha bisogno di qualcuno che lo animi, cosa che nel virtuale ciascuno si sente autorizzato a fare. 
Dal mito del corpo perfetto è facile passare a quello della “salute perfetta”, come ci ricorda Lucien Sfez nel suo mirabile libro con lo stesso titolo, mito che ci rimanda al terzo grande tema di questo inizio di millennio. Sfez pone molto opportunamente come punto di partenza della sua elaborazione del concetto di “salute perfetta”, nell’attuale, il corpo e l’utopia che si sta creando intorno ad esso. Se il Golem, Menone, così come il più recente Pinocchio erano tutt’altro che perfetti, anzi perfettibili per definizione (così come gli attuali robot vengono considerati perfettibili ad infinitum, nella logica sottesa dall’idea stessa d’industria), il corpo della salute perfetta, come quello della realtà virtuale, viene accettato e apprezzato solamente in quanto è considerato compiuto, condizionando significativamente anche la pratica medica. Lucien Sfez parte dalla considerazione di come, nell’ideologia corrente, il corpo malato sia il punto di partenza ineludibile per affrontare il percorso che porta alla salute, dunque di come la malattia sia necessaria per giungere alla salute. Si tratta di un’altra concezione del corpo rispetto a quella offerta da molte religioni, in cui il “corpo in gloria” non coincide assolutamente con l’idea di corpo perfetto, né nella forma né nella funzione, e in cui l’incorruttibilità ha un’altra accezione. Ma neanche con i dettami tradizionali, in questo ambito, della medicina occidentale, la quale ha sempre raccomandato di non far coincidere la salute del corpo con l’immagine della salute, cosa che invece sta succedendo sempre più spesso con la mitologia del corpo perfetto. Non casualmente, la genetica, che aspira, fondamentalmente, a un ideale di perfezione sia del corpo che della salute, è la branca della medicina che raccoglie le maggiori aspettative nella ricerca attuale. Un corpo e una salute così intesi, tuttavia, “perdono la scena”, e fanno avvertire agli umani il bisogno di ricrearla attraverso una scena artificiale, incrinando, riguardo alla salute, la dualità originaria corpo scena. L’utopia, il non luogo (ou topos), cioè il luogo che non esiste, coniato notoriamente da Thomas More e visitato da alcuni filosofi e pensatori dal cinquecento al settecento, come Tommaso Campanella, Francis Bacon, Bentham e Burke, Francesco Patrizi, fino agli autori del socialismo utopico, Saint-Simon, Proudhon, Fourier, ben altro dal più volte evocato e rassicurante “villaggio globale” di McLuhan, rischia, per molti, di occupare – con un certo paradosso – la scena della scienza in questo inizio di millennio. Non si tratta – e non è possibile, in questo momento – di mettere in discussione globalmente tre dei capitoli più significativi dell’esistenza degli umani, sicuramente quelli che, nell’attuale, coinvolgono più individui e producono gli effetti più rilevanti. Si tratta di metterne in discussione alcuni aspetti, e di dare un’altra lettura ai temi della salute, della comunicazione, dell’intelligenza artificiale.
Riguardo alla salute, occorre chiedersi se conformarsi a un ideale di perfezione, e non piuttosto a intenderla nell’accezione di qualità, anche come qualità della vita. Come esigenza di vita, d’infinibilità delle cose e non come salvezza da un’idea di morte e da un’idea di male. Armando Verdiglione nel suo libro Il giardino dell’automa afferma che “la salute s’instaura quando prende le distanze dalla coscienza di morte, dalla sua possibilità, dalla sua probabilità, dalla sua necessità, anche quando si ammanta, com’è accaduto tante volte nella storia, di eroismo e di sacrificio”. La nozione di salute postula altri riferimenti. Non può escludere la questione del disagio né esigerne l’espunzione. Non può espungere la parola e la sua articolazione come non può espungere la scena. Né può non tener conto di nozioni come formazione, arte, ironia, gioco, riso, sessualità e tutto quanto riguarda un itinerario che sia anche itinerario pulsionale e itinerario di qualità. Riguardo all’intelligenza artificiale, questa non può essere al servizio solamente della simulazione e della rappresentazione, ma deve tenere conto soprattutto dell’arte del fare, e consentire un’elaborazione intorno alla logica particolare a ciascuno, concorrendo a una razionalità temporale, senza ontologia e senza pregiudizi, attraverso anche il recupero del testo e della testualità, che offrono statuto alla scienza. E tenendo sempre presente la memoria, che ha costantemente a che vedere con quello che si va facendo e inventando, rivalutando quello che apparentemente è passato, anche lungo un mito. Memoria riguardante il nome e la nominazione, come rileva Freud ne L’uomo Mosé e la religione monoteistica, e l’autorità dell’evento. Memoria, senza cui anche il pensiero, la progettualità, l’insegnamento, la politica, come la scienza, sono altra cosa.