COME DIVENIRE ARTISTA

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psicanalista, responsabile artistico dell'Associazione Il Secondo Rinascimento di Bologna

Sangue blu. Questione di genealogia o di scrittura? Dipende dalla traccia, dalla memoria e dalla trasmissione. Sangue blu l’inchiostro con cui l’isteria non scrive, salvo tradirsi. Oppure il bollo, marchio di garanzia, in assenza del quale il discorso ossessivo si ritiene libero di tradire.
 Per divenire artista occorre forse rispettare o trasgredire una tradizione? Edipo diviene artista senza situarsi rispetto al tradimento di una presunta genealogia. Ignora il parricidio e la sessualità, anche se il suo itinerario, di cui il cammino artistico è un aspetto, ha due facce: il parricidio e la sessualità. Edipo diviene artista in quanto caso, in cui il destino è quello della pulsione e la vicenda è quella della gloria.
 L’amore e l’odio, intransitivi, come potrebbero far avanzare o arrestare il viaggio? Soltanto se il figlio potesse abbandonare o essere abbandonato, o addirittura abbandonarsi. Allora, ecco che, indugiando nel tempo del sintomo, l’isteria abbandona ogni cosa che incomincia, mentre il discorso ossessivo abbandona ogni cosa ancora prima di incominciarla, indugiando nel tempo dell’impasse. Dimissione e rinuncia, contornate da passione e risentimento, invano, cercano di sostituire la pulsione. “Edipo riesce dove l’isteria fallisce”, scrive Armando Verdiglione nel libro La peste, “e così diviene artista”.
 Sangue blu quello di Edipo “piede gonfio”. Ma della famiglia non c’è traccia che non sia quella dell’interdizione linguistica e non c’è memoria che non sia quella che si struttura nel racconto, lungo la dimenticanza. 
Per divenire artista occorre forse cancellare il proprio passato o la propria presunta origine? Nella psicanalisi come aspetto dell’esperienza cifrematica, ciascun ricordo può entrare nella conversazione come pretesto per instaurare un dispositivo di parola e di comunicazione, anziché restare tale o addirittura concorrere a formare una coscienza di presunti limiti soggettivi. Lungo una memoria che si struttura dalla dimenticanza, il dispositivo del racconto con la cifrematica diviene dispositivo del fare e della scrittura e in nessun modo può costituire una genealogia. Ecco perché, maestro e allievo, lungi dal fondare una coppia – cioè un accomodamento che miri a compensare le reciproche presunte mancanze –, sono statuti della parola. Modello base della psicoterapia, la coppia giustifica la propria esistenza sulla pretesa di assistere al caso patologico: le rappresentazioni dell’Altro nel drogato o nell’alcolizzato, nell’anoressica o nella bulimica, nel folle o nel depresso, di volta in volta, devono servire a far sì che i due si rincorrano in un’economia circolare. Ecco perché il dispositivo di parola è essenziale al cammino artistico. Quale cammino ci sarebbe, infatti, se maestro e allievo fossero due partner della coppia Prometeo-Epimeteo? Il maestro esiste in un dispositivo in cui, come nella bottega rinascimentale, le cose si fanno secondo l’occorrenza e non secondo il rispetto di ruoli, competenze e specializzazioni. Nel dispositivo cifrematico, il maestro stesso si mette in gioco e trova il modo del fare facendo, anziché mirando alla conduzione delle cose ai principi di unità, identità, non contraddizione e terzo escluso. Soltanto così diviene caso di qualità e lascia che altri, che si accostano all’esperienza, lo divengano. 
Il discorso occidentale ha da sempre cercato di recuperare l’arte – così come tutto ciò che non funziona – all’interno di casistiche. E curiosamente le donne, come gli artisti, dovevano rappresentare il negativo da economizzare, l’anomalia del genere umano, il caso in cui il debordamento della genealogia, nella nominazione, era ritenuto difetto nel funzionamento. 
Come Edipo, lo psicanalista avverte che il nome esiste nella funzione e nel bordo, lungi dal fondare un’appartenenza; è un significante rimosso che funziona adiacente a un altro significante. Vano cercare di circoscriverlo o di assegnare a esso un confine. Il debordamento, con cui s’inaugura il cammino artistico, è causato dalla follia del sembiante, follia come contrappunto dello stile. E il narcisismo è il cammino dell’identificazione dal sembiante alla cifra.
Il discorso occidentale si è affannato per cercare di spiegare l’arte, di giustificarla, di condurla ai suoi principi. Per questo il critico d’arte diventa spesso come il filosofo della repubblica di Platone, colui che deve condurre la follia, che è dell’oggetto, a una variante funzionale al sistema di pensiero e alla genealogia politica e sociale, magari indicando al collezionista la direzione del suo “investimento” e all’artista la produzione più conforme all’epoca. 
Eppure, proprio l’arte ci costringe a constatare che la parola e le cose non si lasciano padroneggiare. Nessun progresso e nessuna evoluzione nell’arte, ma svolgimento, attraverso la pratica nel dispositivo in cui dalla difficoltà si giunge alla semplicità e in cui l’Altro, irrappresentabile, è ammesso.