UN PONTE TRA LA CINA E L'ITALIA

Qualifiche dell'autore: 
scrittrice, giornalista di "Nouvelles d'Europe" a Parigi

C’incontriamo a Bologna per la seconda volta in due anni. Ma l’incontro tra Italia e Cina è ormai nei due sensi, perché una delegazione italiana, guidata da Sergio Dalla Val, è andata a Chong Quin, una città che si trova nel sud ovest della Cina, per un’esposizione d’arte, Tesori dell’arte italiana, organizzata dal Museo del secondo rinascimento. Si è trattato di un’esposizione, di cui ha parlato anche Shen Dali nel suo intervento a questo dibattito, un’esposizione molto grande, anche per un paese gigantesco come la Cina.

Ho portato gli echi della stampa dell’avvenimento, con tanto di fotografie, che dimostrano l’entusiasmo dei cinesi dinanzi a un’esposizione di arte italiana con artisti contemporanei, che è una vera festa degli occhi e che traccia un quadro completo delle differenti correnti pittoriche contemporanee, riflettendo in modo sorprendente i generi e le tecniche pittoriche dell’Italia di oggi. L’esposizione ha avuto una grande riuscita e spero che ci sia un’altra occasione, perché abbiamo avuto la prova della grande curiosità dei cinesi di oggi verso l’arte contemporanea europea. I cinesi sono veramente curiosi di tutto e di tutti. Potete capirlo leggendo un’affermazione in un articolo pubblicato sulla stampa cinese: “Non è sicuro che noi cinesi possiamo capire, ma è sicuro che non possiamo impedirci di guardare”.

Nel catalogo della mostra compaiono molte opere di autori stranieri: alcune possono sembrare bizzarre agli occhi dei cinesi, perché loro sono abituati ad attribuire sempre un significato ai segni: “Ah, ecco un uomo! Ecco un albero! Ecco una casa!”. E si chiedono: “Ma questo che cos’è? Perché questo blu accanto a questo verde, e perché questo rosso? Qual è il valore di questo o quell’altro?”. In effetti, non capiscono granché!

Eppure, anche se non si può dire che la Cina abbia creato l’arte astratta, qualcosa di astratto esiste anche lì, per esempio nella calligrafia, che è una specie di arte astratta. Un pittore cinese che lavora regolarmente con artisti tedeschi mi ha detto che in Germania l’arte calligrafica è capita molto bene. Vorrei sottolineare che in Cina regna una grande curiosità, e questa è una cosa preziosa, perché quando si è curiosi si può apprendere e perché in Cina questo tipo di curiosità è permesso. In altre epoche, un’esposizione come questa non sarebbe stata possibile. Durante la rivoluzione culturale, per esempio, non potevamo ascoltare nemmeno la musica classica, come quella di Cajkovskij. A questo punto, perché gli artisti Alfonso Frasnedi e Ferdinando Ambrosino possano essere intesi dai cinesi occorre ancora un lungo cammino, e per questo Shen Dali e io siamo felici di potere costituire un ponte per mettere in contatto le nostre differenti culture, scrivendo, per esempio, questo volume su Michelangelo e Günter Roth, che ci ha permesso, ancora una volta, di mostrare al pubblico occidentale la differenza di punti di vista e di concezione del mondo tra l’Italia e la Cina.

Sotto la volta della Cappella Sistina del Vaticano ci sono tre opere di Michelangelo che attirano particolarmente l’attenzione dei visitatori cinesi: Dio che separa la terra dall’acqua, il Peccato originale e il Giudizio universale. Come mai guardano proprio queste tre opere? La loro attenzione è dovuta alla differenza di civiltà. Voi occidentali conoscete bene la Bibbia, conoscete bene la creazione dell’uomo, pensate subito a Dio, a questo creatore che ha impiegato sette giorni per creare il mondo: Adamo, Eva, il Paradiso Terrestre. Ma quando un cinese si trova davanti all’opera di Michelangelo non pensa a Dio, perché anche noi, in Cina, abbiamo il nostro creatore del mondo, ma è un uomo, che ha un nome e che si chiama Pangu. La leggenda popolare racconta che, prima della separazione del cielo e della terra, l’universo era ancora un corpo gassoso, dove tutto stava insieme come l’albume e il tuorlo di un uovo.

Il mondo ha impiegato 18.000 anni a formarsi. Un giorno, non si sa perché, questo piccolo uomo, Pangu, incominciò a lavorare. Era molto piccolo, ma era molto risoluto nel volere separare il cielo dalla terra. Tutti i giorni lavorava e ciascun giorno s’ingrandiva. Con le spalle faceva grandi sforzi per far salire il cielo e con i piedi spingeva la terra in basso. Ciascun giorno aumentava la distanza di 3,3 metri. Alla fine di questi 18.000 anni, riuscì a separare il cielo dalla terra e diventò un gigante. Questa è la creazione del mondo per i cinesi. Ma il gigante, dopo 18.000 anni di lavoro, morì esausto. Ma non morì veramente, si metamorfosizzò: il suo respiro divenne il vento, il sudore la pioggia, la voce il tuono. Il suo occhio destro è diventato il sole, il sinistro la luna. Le quattro membra del gigante si sono trasformate nelle estremità dell’universo – nord, sud, est e ovest – e, naturalmente, la Cina si trova nel mezzo, è il paese del mezzo e, per questo, si chiama l’Impero di Mezzo. Il sangue del gigante si è trasformato in fiumi di tutte le dimensioni, la carne in terre coltivabili, mentre i peli del corpo in vegetazione e le parti dure in pietre preziose, tra cui la giada, che è particolarmente apprezzata dai cinesi, tanto che esiste l’Impero di Giada. A fianco di Pangu, di questo gigante, i cinesi venerano l’Imperatore di Giada e la dea Niva, che è, in effetti, la creatrice di tutti gli esseri umani, perché è riuscita a unire la luce con la terra e ha fatto tanti piccoli uomini, non due soltanto, come Adamo ed Eva: per questo i cinesi sono numerosi!

Tale, beninteso, è la leggenda. Ma questo per dire che in Cina non abbiamo un solo dio, ne abbiamo molti, e ci sono anche uomini che, nell’animo di molte persone, sono venerati come dei e ringraziati per avere trasmesso i valori fondamentali ai cinesi, che apprezzano particolarmente il soffio vitale. Questa nozione a voi può sembrare qualche volta astratta, ma per noi è concreta. Per esempio, Shen Dali ha parlato della pittura di Alfonso Frasnedi. Io ho vissuto momenti di grande piacere e d’intensa passione lavorando attorno all’opera di Alfonso Frasnedi, perché ho sentito una sorta di soffio nella sua pittura. Nella sovrapposizione dei colori ho sentito movimento, ed è questa l’anima della pittura cinese. È quanto s’insegna ai giovani nelle belle arti, nella letteratura: si dice che la forma è importante, ma l’anima è ancora più importante. E questo soffio vitale, da dove viene? I “veri” cinesi – dico “veri” perché la Cina è cambiata molto, è diventata moderna, ha perso molti valori, anche se, fortunatamente, attualmente c’è un ritorno dei valori fondamentali – pensano di ricevere questo flusso vitale dal taoismo, soprattutto dalla natura. Oso dire che i cinesi hanno la natura nella pelle, perché, come vi ho raccontato con la storia del gigante Pangu, la Cina vede la natura dappertutto: negli alberi, nei fiumi, nel cielo, dappertutto c’è questo soffio vitale che ci nutre e ci protegge. Per questo, secondo il taoismo, l’uomo deve vivere in armonia con la natura, prevedendo, contrariamente ai principi della concorrenza vigenti, una vita assolutamente semplice e naturale, in armonia con l’ambiente. In questo modo l’uomo può vivere felice e non deve avere pretese sulla natura. L’uomo può fare molte cose, pur restando umile. Anche se ciò che preconizza il taoismo non è certamente rispettato dal resto del mondo.