LA LINGUA CIFREMATICA URGE

Qualifiche dell'autore: 
poeta, scrittore, drammaturgo

La città moderna (Spirali), romanzo d’esordio di Erik Battiston, è proprio una città moderna, nel senso che la zona geografica nella quale la vicenda si esplica non prevede città, semmai luoghi. Si tratta di un romanzo linguistico, come ha detto Sergio Dalla Val, ma ci sono anche i luoghi. Portofluviale, località immaginaria, Cassano Nono, nome probabilmente inventato a partire da un paese esistente, poi Villa san Carlo Borromeo e Senago. Quindi per città moderna deve intendersi un’area metropolitana, che vada oltre i confini della città. Penso che La città moderna sia uno dei primi romanzi cifrematici, oltre che un romanzo colto.

In molte pagine si avvertono citazioni improvvise, richiami da Marx a Milo De Angelis, da Lenin a Cesare Milanese. Naturalmente, l’argomento “città” è vasto e si pensi soltanto all’urbanistica e alla storia dell’architettura. In letteratura e filosofia si va dal celeberrimo De civitate Dei a La città del sole a La piccola città, testo teatrale di successo, di Thornton Wilder. Da ricordare ancora uno scritto di Heinrich Mann, fratello di Thomas, fino ai cosiddetti sottogeneri, come I peccatori di Peyton Place, o gli scritti di Simenon sulla provincia francese e quelli di Stephen King ambientati nella provincia americana.

La lingua cifrematica di questo romanzo serve a Battiston in quest’impresa (cioè la stesura delle seicento pagine della Città moderna) per evitare imboscate, cadute e mantenere un alto livello di tensione. Il limite di questa lingua cifrale è forse quello di chiudersi in un’evidente settorialità; a nulla serve cercare lumi nel Dizionario di cifrematica, perché le definizioni ivi riportate sono un invito a immergersi nella complessità della dottrina, a intenderla, piuttosto che limitarla a un significato. Si teme di fare fuggire il senso del termine cercato, dissolvendolo nell’angustia di una definizione strictu sensu. Nulla è decifrabile, o almeno facilmente decifrabile. Se la lingua impiegata poi è tale, ne consegue che anche la trama della Città moderna non è facilmente raccontabile. Si potrebbe ridurla a pochi tratti ma si perderebbe tutto il resto. Sarà bene comunque avvertire, come altri hanno fatto, che in questo scritto è il “resto” che conta. Per aggiungere un elemento paradossale, questo libro non poteva essere scritto in un’altra lingua che quella della cifrematica.

Come raccontare altrimenti i complessi rapporti con l’istituzione, con la clinica, con i sindacati, con la fabbrica, con l’impresa, i rapporti interpersonali, se non con quel tipo di “fenomenologia” suggerita dalla lingua cifrematica? Ma, soprattutto, anche quel senso di risentimento, presente in modo particolare nelle azioni sindacali: un repechage, potremmo dire, di quanto indicato da Scheler e dallo stesso Nietzsche sul risentimento. Per questo, a romanzo cifrale, critica cifrale. Un’altra lingua, quella più adoperata, racconta forse un’altra storia, o almeno una storia diversa, perché è necessità di questa lingua porsi domande che forse l’altra lingua non si pone, o non ne sente la necessità. La trama, per esempio. La trama, elemento reale e non fantasmatico, intessuto di rapporti che si chiudono con i fatti, non può non entrare in contrasto con una lingua dove i fatti, paradossalmente, finiscono con il diventare il corollario dell’interpretazione dottrinale. Chi dirige il gioco è la lettura non visibile, contro la visibilità perentoria dei fatti e delle spiegazioni fattuali a essa inerenti.

Il testo della Città moderna è diviso in capitoli, suddivisi in paragrafi, a volte brevi, composti più o meno così: c’è un’entrata, a carattere lirico, diciamo di prosa lirica; la ripresa del discorso sui fatti del giorno prima, l’interpretazione e la messa in gioco cifrematica degli stessi, spesso con il racconto impreziosito da un inizio di poesia dell’autore o di altri autori. A volte scatta il cosiddetto correlato oggettivo, a volte no.

Non è facile giocare su differenti tavoli: cifrematica come teoria, romanzo come genere, prosa lirica come momento d’introduzione, poesia come correlato, infine saggistica, ovvero trattazione come genere complessivo.

Inoltre, la prosa dotta, con citazioni letterarie e di genere. Giustamente si è parlato dell’Uomo senza qualità, come riferimento, seppure indiretto, a Erik Battiston. In realtà, si poteva pensare anche al genere del romanzo mitteleuropeo, nel suo complesso. Ricordiamo tuttavia che Musil, prima d’“imbarcarsi” nel romanzo che gli assorbì tutte le energie vitali, aveva scritto grandi e bellissimi racconti come la Tonka, per esempio, dove un ingegnere, giunto a un punto imprecisato dell’esistenza, in preda a una crisi esistenziale, si perde dietro il fantasma, reale, di una donna profondamente diversa da lui; oppure La tentazione della silenziosa Veronica o Il compimento dell’amore, dove si narrano i turbamenti di una donna durante un viaggio e l’approdo al suo impensabile.

La sproporzione tra la parte teorica e la riflessione sull’azione forse non gioca a favore dei romanzi sopra citati, esclusi i racconti, sia detto con tutto il rispetto possibile. Elias Canetti, invece, spesso abbandona la narrazione vera e propria per spingersi fino al saggio, con pagine indimenticabili come quelle su massa e potere, che mantengono il tono narrativo ed epico ma, nello stesso tempo, hanno abbandonato ogni intelaiatura di romanzo. Una simile sproporzione è presente anche nella Città moderna; il bisogno di chiarificare i rapporti con l’esistenza e con la comunità è molto forte in Battiston, e non si può fargliene una colpa.

Inoltre, il flusso epico lirico finisce per essere una spinta inarrestabile, dal momento che la lingua cifrematica urge per rompere il tessuto della sua dottrina e per sfociare, almeno a mio parere, in un interminabile flusso lirico.