NOVITÀ NELLA RICERCA E NELLA CURA

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direttore generale del Gruppo Hesperia Hospital

Fra i centri di eccellenza in Europa, il Gruppo Hesperia Hospital ha alle spalle anni di collaborazione con istituti di ricerca di altissimo livello come l’Arizona Heart Institute di Phoenix, la Boston Scientific Society di Boston, la Duke University del South Carolina e la Humboldt University di Berlino, tanto per citarne alcuni oltre quelli italiani. Può dirci quali sono le novità recenti nella ricerca e nella cura in cardiochirurgia e non solo?

Le novità riguardano non solo la ricerca e le applicazioni che hanno già dato risultati affidabili, ma anche l’introduzione di nuove tecniche chirurgiche che rendono superate quelle precedenti, dando una serie di vantaggi, fra cui la diminuzione del “trauma” sul paziente. Una delle ultime, definita in collaborazione con uno specialista francese, è la tecnica di eliminazione del fibroma uterino attraverso l’embolizzazione: anziché sottoporre la paziente a intervento chirurgico, il fibroma viene embolizzato endoscopicamente o endovascolarmente, con due vantaggi: prima di tutto la procedura non è invasiva né traumatica e poi l’organo su cui viene eseguita la procedura viene salvaguardato.

Un’altra importante novità che può già essere formalizzata in via definitiva, perché abbiamo dati certi di riferimento su cui si stanno conducendo studi significativi, è quella della riduzione del numero di trasfusioni sanguigne. In questo campo, siamo ormai centro di riferimento in Italia: da almeno dieci anni, abbiamo istituito un gruppo di studio non solo per andare incontro ai pazienti che non accettano la trasfusione ma anche per ricorrere il meno possibile alla trasfusione, riducendo il consumo di sangue, risorsa molto preziosa. Con l’utilizzo di tecniche chirurgiche che recuperano il sangue intraoperatorio, il sanguinamento è ridotto al minimo e la trasfusione è diminuita almeno del quaranta per cento rispetto al passato. In dicembre dello scorso anno, si è tenuta una giornata di studio, molto seguita anche dalla stampa e dalla televisione, dedicata a coloro che, come i Testimoni di Geova, a causa del loro credo religioso, non accettano la trasfusione né il recupero del sangue se entra in contatto con l’aria. Il rischio del contatto con l’aria non si poteva escludere durante gli interventi, quando si attuava la circolazione extracorporea. Ecco che allora sono state studiate nuove tecniche per consentire la minicircolazione extracorporea senza il contatto con l’aria, tecniche valide non solo nella cardiochirurgia, ma in tutti gli interventi chirurgici in cui il sanguinamento può essere ridotto, controllato, ma non eliminato. È un notevole traguardo poter garantire al cento per cento la non trasfusione ai pazienti che non l’accettano.

Un altro settore in grande espansione, anche perché la patologia è sempre più diffusa a causa dell’invecchiamento della popolazione, è il controllo del cosiddetto “piede diabetico”: per i diabetici, la circolazione agli arti inferiori è un problema molto serio, che in passato ha portato molte amputazioni. Nel nostro centro del “piede diabetico”, che collabora con un altro nostro centro di Vicenza, riusciamo a evitare l’amputazione attraverso tecniche di rivascolarizzazione non invasiva.

Un’altra attività importante che da anni risolve grandi problemi è rappresentata dagli interventi alla carotide eseguiti con tecniche endovascolari: anziché utilizzare il bisturi, si crea un accesso dall’arteria radiale, ci si dirige alla carotide con guide e cateteri e si procede nella dilatazione o nell’eliminazione delle stenosi carotidee, con tecniche utilizzate anche nella procedura endovascolare cardiaca. C’era il problema di evitare che parti del cheratoma della strozzatura o di ciò che la creava andassero in circolo, anche a livello cerebrale: per questo è stata inventata una sorta di rete, o di ombrello che durante la procedura impedisce il passaggio in circolo di queste sostanze e, nel cento per cento dei casi, il problema non si pone. I numeri sono significativi e sono stati presentati in febbraio in un convegno a Phoenix, ma ne parleremo anche a maggio a Barcellona, dove presenteremo tutte le procedure eseguite endovascolarmente.

A proposito di convegni, una delle attività non secondarie di Hesperia è quella di formazione e informazione. Quale periodicità segue?

Nell’arco dell’anno, i convegni o i corsi riservati a collaboratori di Hesperia sono mediamente due al mese e spaziano dall’ortopedia alla cardiochirurgia alla chirurgia estetica, ma affrontano anche temi come le infezioni ospedaliere: non dimentichiamo che Hesperia è l’unico centro privato in Emilia Romagna che ha attivato il CIO (Comitato delle Infezioni Ospedaliere), entrando nei progetti regionali, e i nostri protocolli sono stati addirittura presi a modello da altre strutture.

Ma, per tornare alle attività di formazione e informazione, oltre ai convegni interni, il nostro comitato scientifico organizza un convegno al mese rivolto all’esterno, a livello locale, nazionale o internazionale. Grazie alla partecipazione di gruppi di studio e di ricerca, ciascuno dà testimonianza della sua esperienza sul tema del convegno che, quindi, diviene un’occasione di confronto sulle novità in materia. A maggio si terrà un convegno di chirurgia estetica, nel corso del quale saranno trasmesse in diretta le immagini delle procedure effettuate in sala operatoria con una nuova tecnica di lifting che non pratica tagli, quindi non elimina cute, ma utilizza fili speciali dotati di dispositivi ai quali si riaggancia la pelle che viene “stirata”.

Anche dal punto di vista dei riconoscimenti istituzionali il Gruppo Hesperia Hospital è tra i primi in Europa…

Nel 2004, quando il Ministero della Sanità decise di misurare la qualità, nel confronto fra strutture pubbliche e private, la nostra cardiochirurgia è risultata la migliore d’Italia. In seguito, questi dati non sono più stati resi pubblici, ma possiamo dire che negli anni successivi fino al 2007 abbiamo mantenuto la posizione che abbiamo dimostrato di possedere dal 2004, anzi, da molto prima, visto che non abbiamo aspettato che la qualità da garantire ai pazienti fosse un obbligo per esigerla a ciascun livello dei nostri servizi.