COSA CI RESTA

Qualifiche dell'autore: 
poeta, giornalista, Caporedattore del Giornale Radio Rai

È uscita la nuova raccolta di versi di Ennio Cavalli, già ampiamente anticipata nell’autoantologia Cose proprie (Spirali, 2003). S’intitola Libro di sillabe (Donzelli, 2006). Pubblichiamo due poesie con il commento dell’Autore.

“MEMORIA”

La memoria è un Picasso,

fa ritratti con l’anima.

Cala un fiore dall’alto

lo squillo di un orecchino. 

La memoria è un detective,

niente resta impunito.

La rosa dello sparo

la mano nella mano

l’idea lunga di Dio. 

Un profumo o un limone

sollevano botole.

Un rumore, il centesimo gradino che scricchiola

e scattano manette nella mente. 

La memoria ha pazienza

più di un prete ribelle.

Torti tonache età

ti si cuciono addosso

come l’odio per il vescovo

o uno sgarro di coltello. 

In un letto di ferro

il poeta sognò morbidezze,

una fetta di pan di Spagna.

 “ROSA”

Per sfuggire all’assedio di spine

la rosa perseguitata

salì sull’ultimo spalto,

al culmine del gambo,

baratro a se stessa.

Stava precipitando.

Il palpito di un chiodo intenerito,

spina ribelle,

offrì una presa, lo stame di velluto.

Così sul vuoto trionfò il fiore.

Ho scelto le poesie “Memoria” e “Rosa” dalla mia ultima raccolta Libro di sillabe, perché racchiudono un doppio senso: ogni storia è sintesi di tutte le storie e insieme addita qualcosa di inesplorato. Perché la rosa e il suo profumo si salvano dal pungolo della solerte marea di spine? In virtù, immagino, di un antico patto. Nella sua fuga dalle spine sguainate, lungo il gambo, il bocciolo primordiale trovò un alleato, una spina ribelle, refrattaria al ruolo di armigera. Forse la spina si innamorò del bocciolo, del suo trascolorare, di quell’aria straniera. Oppure fu il bocciolo a capire, prima di ogni altra cosa, la solitudine sconfinata della spina, il suo sterile statuto. Il bocciolo e la spina si affiancarono parecchie miglia prima di qualsiasi pensiero violento e insieme decisero quel salto mortale verso l’eternità della rosa. Il fiore prese uno slancio da acrobata, la spina gli fornì l’appoggio per arrivare in cima al gambo, da dove occhieggia ancora oggi, indisturbato.

“Memoria”, dal canto suo, racconta un’altra piccola verità rovesciata. Noi, uomini e donne, non siamo tutti d’un pezzo, siamo carne della nostra psiche. Questo sottintende una domanda: le cose accadono veramente o è la memoria a farle sembrare? Te ne accorgi di fronte alla morte, quando le persone amate, all’improvviso, diventano ombre. Ma c’è un inizio, c’è un indizio. Cosa ci resta in mano dopo un abbraccio, cosa ci resta in bocca dopo un bacio, cosa racchiudono gli altri nostri sensi, la vista, l’udito, l’olfatto, al di là di quel preciso istante, oltre l’ultima inquadratura, a margine del discorso, nella scia di un profumo? Racchiudono le tracce di un meccanismo sepolto, l’ineffabile alfabeto Morse, la probabilità irrilevante che qualcosa resti nel Purgatorio della memoria. Per questo occorre essere devoti alla memoria propria e altrui, alla memoria di tutti i giorni e a quella che ci trascende. Forse è uno dei luoghi dove si annidano un palpito di anima, un po’ di buona e di cattiva coscienza, una certa fantasia e, a voler esagerare, perfino l’eco eroica del Nome di Dio.