L'INDUSTRIA DELLA PAROLA PER L'AVVENIRE DELL'EUROPA

Immagine: 
Qualifiche dell'autore: 
cifrematico, direttore dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

A proposito del ruolo dell’Europa nel pianeta e della politica da adottare per vincere le sfide della globalizzazione, anche uno dei massimi esponenti della BCE (Banca Centrale Europea) si limitava a ripetere un luogo comune pacifista: “La nostra missione nel mondo è quella di rappresentare un potere gentile”, intendendo dire, come nota Antonio Baldassarre in questo numero, che siamo un potere che vuole la pace e non la guerra. Da chi sta ai vertici di un ente che interviene in modo determinante in materia di economia e di finanza in tutti i paesi dell’Unione ci si aspetterebbe quanto meno un accenno alla strategia economica e finanziaria che si vuole mettere in atto, ossia a quali sono i settori e le attività che si vorranno favorire nei prossimi dieci anni, in virtù del fatto che saranno tali attività a costituire il nostro specifico rispetto a altre aree del pianeta e a consentire quindi di raggiungere risultati soddisfacenti per l’avvenire. 
Ma, evidentemente, non è un caso se il referendum sulla Costituzione europea viene inteso come una questione ridotta banalmente al ritornello: “Europa sì, Europa no”.
Dimenticando l’essenziale: quali sono le radici culturali e artistiche dell’Europa e come instaurare dispositivi perché le cose che si fanno, da qui ai prossimi dieci, venti, trent’anni, vadano in direzione della qualità.
Dimenticando che le radici culturali e artistiche dell’Europa non sono nell’illuminismo, ma nel rinascimento. E lo statuto intellettuale di ciascuno, statuto che occorre instaurare perché il viaggio della vita sia in direzione della qualità, si avvale dei testi di Leonardo, Machiavelli e Ariosto. Per questo l’università internazionale del secondo rinascimento – università non conformista, che non porta alla routine o al sistema – non parte dalla separazione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, tra il poeta e il banchiere, tra l’artista e l’imprenditore. In questa università, ciascuno interviene, fa e scrive secondo l’occorrenza. Non fa esercitazioni ma esercizi, esercizio d’intelligenza, ginnastica intellettuale, s’industria e aguzza l’ingegno perché le cose giungano alla riuscita. E il calendario e lo scadenziario sono ricchissimi di date e di avvenimenti. Dal 5 febbraio 1973, l’esperienza del secondo rinascimento – esperienza originaria ciascun giorno, mai basata sul glorioso passato o sulla promessa di un radioso avvenire – consente, con i suoi dispositivi, a ciascuno di acquisire strumenti essenziali per l’industria della parola, quella industria che, come afferma Armando Verdiglione, “deve essere la proprietà della vita per ciascuno”. E i dispositivi sono tanti e altri possono costituirsi, perché tanti sono i prodotti dell’esperienza  incominciata trent’anni fa: la cifrematica, i libri della casa editrice Spirali, le opere d’arte del Museo del secondo rinascimento, i congressi internazionali, il brainworking, i servizi della Villa San Carlo Borromeo.
Dispositivi da cui è imprescindibile l’impresa, con il suo rischio di riuscita, che non è mai pericolo di morte. Mai, in trent’anni, il movimento del secondo rinascimento ha stabilito il suo programma a partire dalla lotta contro un presunto nemico. Eppure, le occasioni per costituirsi come vittime dell’inquisizione, con i suoi feroci attacchi a un’impresa libera e assolutamente inedita, non sarebbero mancate, sopra tutto nella seconda metà degli anni ottanta. La battaglia, invece, è sempre stata battaglia per la riuscita, battaglia per la salute, senza alternativa tra il bene e il male, l’amico e il nemico. Troppo facile dire di volere difendere la pace e poi rappresentare l’Altro nel nemico o nello straniero che invade il territorio con uomini e merci. Più difficile invece instaurare dispositivi intellettuali con ciascuno, indipendentemente dal settore, dal paese o dalla religione da cui magari ognuno crede di provenire. Restituire il testo anche di chi appare più lontano dalle nostre radici culturali è il compito che spetta sempre più all’Italia e all’Europa nel terzo millennio. Sta anche qui la tolleranza, nel formulare ipotesi dell’avvenire che tengano conto delle varie istanze culturali che si affacciano sempre più alle porte del Mediterraneo. Nessuna politica industriale può inventare l’Europa senza questa tolleranza, che le consentirà invece di divenire ancora una volta, come nel rinascimento, centro e crocevia di differenti civiltà. Per questo occorrerà dare impulso a nuove vie di comunicazione, come scrive Aurelio Misiti nel suo libro Il viaggio dell’avvenire (Spirali), anziché innalzare muri e steccati contro l’invasione straniera. E se oggi le aree più avvantaggiate sono quelle che attirano i maggiori investimenti, occorre chiedersi in che modo la cultura, l’arte e il turismo che da esse procede – che darà nuovo slancio anche ai settori connessi all’ospitalità – possono attirare capitali e divenire carte vincenti per l’avvenire dell’Europa.
L’industria della parola è stata inventata nel rinascimento, ma s’instaura ciascun giorno e ha come condizione la voce, punto di astrazione e punto di oblio. È quella industria che non si oppone alla natura, anzi, in seguito al rinascimento non c’è più la dicotomia naturale/artificiale, proprio perché la natura e l’industria sono natura della parola e industria della parola, anziché stati dell’essere. E a torto c’è chi crede che la natura sia il regno della necessità pragmatica e l’industria quello dell’astrazione pura. Il punto di astrazione è la condizione dell’industria, ma non c’è nulla di più pragmatico dell’astrazione. Ecco perché, nell’era del secondo rinascimento, risulterà sempre più impossibile la separazione fra lo scienziato e l’imprenditore.