ACUSMETRIE OLTRE I SENSI

Qualifiche dell'autore: 
compositore, saggista, giornalista, docente al Politecnico di Milano

L’esigenza di rappresentare, di metaforizzare attraverso un linguaggio differente una situazione, un vissuto o un’impressione è sempre esistita. In musica è quel che è chiamato “a programma”. Nelle Quattro Stagioni di Antonio Vivaldi, per esempio, c’è il progetto di rappresentare, di evocare una certa situazione paesaggistica. Nel caso dell’acusmetria, l’intenzione non è più quella di rimandare a una dimensione sensoriale complessa in cui l’uomo è il soggetto che percepisce un ambiente articolato – alberi, fiumi, uccelli, mare e così via – ma, come nei casi descritti da Marco Maiocchi, l’intenzione è quella di costruire un codice che sia saldamente ancorato a un bagaglio di conoscenze pregresse che ciascuno di noi ha acquisito fin dalle scuole elementari, che si rifanno alla geometria piana, ad esempio, anche se la nostra ricerca va ben oltre. È possibile usare il codice acusmetrico come un nuovo strumento per la creazione di opere artistiche, come comunicazione che passa attraverso lo stomaco, oltre ad attraversare il cervello. Per questa ragione noi non abbiamo difficoltà a dire: “attenzione, stiamo cercando di farvi ascoltare un triangolo”. I concetti che ha spiegato Maiocchi non hanno sollevato dubbi dal punto di vista dell’interpretazione. Per lo meno, si è capito qual è l’intenzione del codice e il fatto che investa aspetti linguisticamente specifici di un sistema. Quando io volessi rappresentare la primavera a un nomade Golok tibetano, a uno Zulù o a una persona che abita in Congo o sull’Himalaya, non posso farlo con l’ascolto di Vivaldi, perché non mi capirebbe. Ci sono fortissime differenze culturali fra le “etnie” del mondo nel modo di percepire suoni organizzati in musica, ovvero sistemi linguistici. Invece, straordinariamente, ci siamo accorti che nel caso dell’acusmetria c’è un fattore sovraculturale: abbiamo provato a far ascoltare a un giapponese e a un cinese il nostro triangolo e la reazione è stata univoca. Se c’è stato un dubbio non è derivato da un gap culturale o dalla differenza interpretativa dovuta all’organizzazione del linguaggio, perché il concetto di triangolo appartiene all’uomo nella sua unicità di specie.

Penso che nella nostra epoca il ruolo di ciascuno, musicista, chimico, scrittore, oncologo e così via, sia talmente legato, correlato a tutto un insieme di attività di ricerca, produzione, creazione e strutturazione di nuovi sistemi che le nostre possibilità di esprimere i risultati di questo pensiero complesso e anche l’invenzione di nuovi mezzi per comunicarlo, abbiano portato alla tecnologia di cui disponiamo oggi, che è un fatto epocale, nel senso che noi abbiamo vissuto in quindici, vent’anni una rivoluzione incredibile nella diffusione capillare dei mezzi informatici e nella loro interconnessione permanente. Mi sembra che si possa affermare che questi mezzi che ci circondano oggi rappresentino una sorta di estensione del nostro sistema nervoso, qualcosa che va a dilatare, allungare, rilanciare la nostra possibilità di conservare memoria e di utilizzare le possibilità di mettere in relazione tante differenti memorie. E questa forse è la strada e il senso del progresso che possiamo inseguire, al di là della nostra condizione e del nostro limite, che dal punto di vista fisiologico e umano non è ancora tanto cambiato.

Nel viaggio che ci ha portato qui a Carpi, parlavamo di come tanti fattori legati agli strumenti di cui la civiltà dispone per costruire le proprie infrastrutture, le proprie reti e relazioni, arrivino a modificare il nostro modo di pensare.

Ma, non solo, anche quell’insieme archestetico di condizioni per le quali il nostro cervello riceve informazioni. Se provate a suonare un violino vicino a una candela accesa, vedrete la fiammella che si sposta. Se provate a farlo davanti a un sordo, avrete un modo per spiegargli metaforicamente che cosa sta avvenendo nel vostro timpano e cosa poi il vostro cervello traduce del segnale che voi percepite acusticamente e di cui state condividendo l’effetto ottico.

Le relazioni sono molto strette tra questi sensi principali – come direbbe Aristotele nella sua categorizzazione – nell’influenzare due fenomeni diversi ma originati dallo stesso atto.