IL VALORE DELLA RICERCA

Qualifiche dell'autore: 
ingegnere, amministratore di SIR, Modena

Intervista di Anna Spadafora

Durante la sua esperienza di imprenditore si è trovato più volte a dover raccontare ad altri quale poteva essere il valore della sua azienda, anche quando non era evidente dai bilanci. In che modo, nell’impresa moderna, si giunge a un valore che non è quantificabile?

Sicuramente, il concetto di valore dell’impresa è profondamente mutato. Un tempo si tendeva a quantificare il valore in base alla struttura e ai beni immobili, mi riferisco in particolare a capannoni, stabilimenti, attrezzature e impianti. In una parola, la quantificazione avveniva in base alla struttura. Oggi, il fattore umano è divenuto invece l’elemento preponderante: saranno sempre più necessarie figure dotate di un’elevata preparazione di base, una forte specializzazione, una buona conoscenza del mercato, e soprattutto entusiasmo, passione e idee innovative. L’impresa moderna si fonda e si fonderà sempre di più sull’uomo e sul team che la guida: sono gli individui che costituiscono le imprese, non le officine e le attrezzature. È quindi necessario che la formazione scolastica e accademica sia in grado di fornirci persone altamente preparate, capaci di portare nelle imprese una ventata di aria fresca e di guidare la ricerca e l’innovazione tecnologica di cui tanto abbiamo bisogno. Purtroppo, da questo punto di vista, le statistiche non sono incoraggianti: negli ultimi anni si è riscontrato un calo di laureati in materie scientifiche, forse perché la scuola dell’obbligo non fornisce la preparazione necessaria per intraprendere un cammino accademico scientifico, notoriamente arduo e difficile. Al timore di non riuscire si aggiunge il fatto che i tecnici sono generalmente poco retribuiti e questo può rappresentare un deterrente per chi voglia cimentarsi con un corso di laurea scientifico: gli ingegneri sono i tecnici di domani ma il nostro sistema, imperniato sull’immagine e sul marketing, attribuisce spesso scarso valore a questa professionalità. La formazione di persone capaci e motivate è tuttavia basilare per poter effettuare quella trasformazione vitale, nel vero senso del termine, che possa permetterci di passare dal terzismo al made in Italy, a una produzione incentrata su prodotti e processi innovativi. A questo dobbiamo aggiungere una più ampia e consapevole apertura verso il mercato globale: usciamo dal nostro ristretto e limitato ambito regionale e impariamo a confrontarci con il resto del mondo. È una sfida, difficile quanto si vuole, ma è anche motivo di crescita e di ricerca di nuovi stimoli.

L’imprenditore, che rappresenta e guida l’azienda, è il primo portavoce di questo nuovo concetto di valore: deve evitare di creare una struttura gerarchica rigida e accentratrice, superando gli egoismi e lasciando crescere il proprio team di collaboratori. Il meccanismo di delega delle responsabilità è fondamentale per assicurare alla struttura un futuro a lungo termine: in questo la nostra classe imprenditoriale deve crescere velocemente, rifuggendo dalla tentazione di credere che tale atteggiamento comporti la perdita di controllo sulla propria azienda. Occorre riconoscere le qualità dei propri collaboratori e rendersi conto che tutto ciò che è stato creato ieri può essere migliorato oggi e superato domani.

Nel suo libro L’uomo dei robot affronta il tema del finanziamento all’impresa, anche questo è un aspetto importante per la determinazione del valore.

Nei primissimi anni della vita di SIR, a causa dell’ingente investimento iniziale in ricerca e sviluppo per la progettazione dei robot antropomorfi e del conseguente assottigliamento di disponibilità economica, abbiamo conosciuto momenti delicati. Ricordo che in quel periodo abbiamo trovato parecchi funzionari di banca in grado di guardare lontano, capaci di valutare non solo i numeri crudi e semplici che stanno nell’ultima pagina del bilancio, ma anche la potenzialità del progetto e le idee degli uomini che lo portavano avanti. Diciamo che ci hanno valutato non per ciò che eravamo, ma per ciò che avremmo potuto diventare. Oggi, non è semplice trovare un’istituzione disposta ad accettare questo rischio. Spesso, non viene dato il giusto risalto a coloro che hanno idee veramente valide e che necessiterebbero di finanziamenti per potere tradurle in pratica. Auspico che nel prossimo futuro le banche operino scelte più oculate per il bene della nostra economia e sappiano assimilare i nuovi significati del termine valore: è basilare, perché non sempre l’imprenditore può contare su sovvenzioni statali o europee, o sul proprio patrimonio di famiglia. Gli istituti bancari dovrebbero sì considerare lo stato di liquidità e i parametri di bilancio dell’impresa, ma dovrebbero d’altro canto introdurre nuove metodologie di valutazione, basate sul know how presente in un’azienda, sui progetti avviati e sulle possibilità future, in una parola, sul suo programma di sviluppo. Molto spesso gli stessi finanziamenti pubblici sono poco mirati e dispersivi, a volte male utilizzati dalle stesse aziende: i finanziamenti dovrebbero invece essere visti come un investimento sul futuro, un punto di partenza per un progetto ad ampio respiro, piuttosto che un punto di arrivo.

Un merito di SIR è che non si chiude fra le proprie mura, ma, attraverso la ricerca nella tecnica e nella tecnologia, dà un apporto alla trasformazione economica e culturale.

Trasformare la nostra economia è una sfida impegnativa e sul nostro territorio abbiamo la fortuna di contare sull’appoggio dell’Università di Modena e Reggio Emilia, che rappresenta senz’altro un esempio di ateneo lungimirante. Ma le altre università saranno preparate a un’esperienza simile? E che dire delle aziende? Saranno disposte a superare egoismi e diffidenze, ad aprirsi al mondo globalizzato, divenendo esse stesse divulgatrici di cultura industriale? Impresa e università viaggiano a velocità diverse, ma è possibile con un minimo sforzo di entrambi trovare un punto comune. Tutto dipende dalle persone che stanno su una e sull’altra sponda: noi abbiamo portato il nostro entusiasmo e abbiamo incontrato di rimando un rettore capace di grandi aperture e ricercatori giovani e motivati, che hanno saputo calarsi nel ritmo aziendale. Ora ci attendiamo un ulteriore sviluppo grazie ai centri di divulgazione del sapere: saranno l’anello finale della catena e garantiranno grande visibilità alle ricerche universitarie di cui spesso la piccola media impresa non è a conoscenza. Un passo indispensabile affinché studi e risultati della ricerca possano trovare il partner corretto in grado d’industrializzarli e trasformarli in prodotti e processi.