L'ECCELLENZA NELLA CARDIOCHIRURGIA

Qualifiche dell'autore: 
direttore generale del Gruppo Hesperia Hospital

Intervista di Anna Spadafora

Quali sono le novità nella ricerca e nella cura intervenute negli ultimi anni nel Gruppo Hesperia Hospital, caso unico in Italia, rinomato in tutta Europa e anche negli Stati Uniti, da cui vengono a visitarvi per studiare le vostre procedure e il vostro metodo?

È vero, inizialmente eravamo noi a studiare gli americani, adesso sono loro a visitarci. Vantiamo un solido rapporto con l’Arizona Heart Institute di Phoenix, di cui siamo sede europea. Il primo stent per aneurismi addominali in Europa è stato messo in Hesperia nel 1994 dal professor Dietrich, dell’Arizona Heart Institute. Abbiamo anche condotto una sperimentazione sugli stent per la Boston Scientific.

La cardiochirurgia e la cardiologia sono sempre state il nostro core business, tanto che la Regione Emilia Romagna ce le ha affidate, anche perché siamo l’unico centro di cardiologia medico chirurgica nella provincia. Nel 2004 siamo risultati la migliore struttura in Italia adottata dal Ministero della Sanità, in base agli studi compiuti dall’Istituto Superiore di Sanità. Sulla base dei parametri di misurazione della mortalità a trenta giorni da determinati tipi d’intervento, la media italiana era, all’epoca, pari al 4%, mentre la nostra era dello 0,9%.

Le novità in cardiochirurgia, in cardiologia e in termodinamica riguardano innanzitutto le procedure. La tecnica endovascolare, che interviene sulla patologia attraverso cateteri, senza aprire il paziente, ha raggiunto risultati eccellenti. Sta partendo una sperimentazione che riguarda l’applicazione di valvole cardiache per via endovascolare, effettuata senza aprire il torace del paziente ma accedendo dalle arterie. I nostri professionisti, nel novanta per cento dei casi, utilizzano l’arteria radiale, cioè accedono dal braccio.

Nella cardiochirurgia abbiamo raggiunto le punte più avanzate, infatti siamo entrati nel progetto Stich, uno studio di chirurgia dello scompenso condotto a livello mondiale in collaborazione con la Duke University degli Stati Uniti. Per ogni intervento e per il follow up c’è una partecipazione economica del ministero americano della salute, è un apporto necessario perché questo tipo d’intervento non è previsto nel Nomenclatore Nazionale.

Ci occupiamo anche di ricerca tissutale – per la cui applicazione siamo l’unico centro in Italia – in collaborazione con la Hubert University di Berlino, Charité Hospital. La nostra innovazione consiste in un progetto d’ingegneria tissutale: le cellule porcine vengono prelevate dalle valvole biologiche normalmente utilizzate e rivestite con le cellule del paziente. In questo modo si elimina il rischio di rigetto.

Un’altra sperimentazione in corso riguarda le cellule staminali. Nel corso degli interventi di cardiochirurgia ai pazienti che hanno avuto un infarto, attorno alla cicatrice residua, vengono iniettate cellule staminali del paziente stesso: il risultato è l’eliminazione della cicatrice, poiché il tessuto cicatriziale post infarto diventa normale.

Il nostro Comitato delle Infezioni Ospedaliere è un altro fiore all’occhiello, in quanto Hesperia è l’unica struttura privata in Emilia Romagna che ha attivato il CIO, entrando nei progetti regionali: non solo i nostri protocolli sono stati apprezzati, ma anche richiesti dalla Regione per uniformare altre strutture.

Fra le novità di rilievo, inoltre, c’è il progetto Venere, un’attività di medicina e chirurgia estetica coordinata dalla professoressa Raffaella Garofalo, l’unica italiana a far parte del gruppo di ricerca inglese che sta studiando e sperimentando il trapianto del volto. La chirurgia estetica è importante soprattutto nella pratica di plastica ricostruttiva: pensiamo, per esempio, ai casi in cui, operando una mastectomia o una quadrantectomia, viene ricostruito il seno durante lo stesso intervento.

Le alte tecnologie sono un nostro punto di forza. Stiamo sostituendo la risonanza magnetica con una più potente e sono state allestite due sale di emodinamica.

Inoltre, siamo corner e “showroom” per chi produce nuove tecnologie, per le quali siamo utilizzati come centro di verifica.

Sono traguardi eccellenti quelli raggiunti dal Gruppo Hesperia. Certo, non deve essere facile mantenere un livello di qualità così alto nelle differenti fasi che vanno dall’intervento alla terapia…

Secondo noi, è importante considerare l’attività ospedaliera come una catena che non dipende solo dal primo operatore. Anche se il primo operatore fa tutto bene, la catena può poi indebolirsi quando ne subentra un secondo. Pensiamo a una terapia intensiva dove il paziente rischia d’infettarsi, o all’eventualità di tornare in sala operatoria, nonostante l’intervento sia stato eseguito nel migliore dei modi. Nelle nostre strutture si vede il risultato di tutta la catena che funziona, ogni anello ha la stessa forza.

Dicono che il privato, volendo fare profitti, non fa qualità, invece, quello che costa è la non qualità, perché un paziente male operato, che sanguina e viene riportato in sala operatoria, o che sta molto tempo in terapia intensiva, costa più di un paziente che ha un percorso normale. Fare qualità, evitando, per esempio, che il paziente s’infetti, significa creare economia.

Svolgere attività di eccellenza significa essere di richiamo, ed è quello che siamo riusciti a fare. Per fare qualche esempio, la nostra squadra per il trattamento dell’ortopedia del rachide nei bambini, capitanata dal professor Cervellati, riceve pazienti da tutta Italia. Ma siamo un riferimento anche all’estero: l’Inghilterra ha esigenze che non riesce a soddisfare, specialmente in ambito cardiochirurgico, di conseguenza, sono state scelte alcune strutture estere in cui mandare i pazienti anglosassoni. Ebbene, noi siamo nel book degli ospedali italiani che danno prestazioni ai pazienti inglesi.

Il centro che ha la maggiore mobilità attiva di questa regione è Hesperia e, nella provincia di Modena, nel 2004, il centro ha rappresentato il 75% della mobilità attiva per richiamo di pazienti, quando le strutture pubbliche e le altre strutture private coprivano solo il 25%. In Italia siamo al sesto posto per la mobilità attiva; e pensare che disponiamo di centoventicinque posti letto, cento di degenza e venticinque di area critica, mentre l’ospedale che ci precede nella graduatoria, il San Donato di Milano, ne ha settecento.