PITTURA E SCRITTURA TRA EUROPA E CINA

Qualifiche dell'autore: 
poeta, scrittore, docente dell'Università di Pechino

intervista di Sergio Dalla Val

Nei tre libri Marc Chagall e Antonio Vangelli, Henri Matisse e Alfonso Frasnedi, Pierre-Auguste Renoir e Grigorij Zejtlin (Spirali edizioni, collana “L’arca. Pittura e scrittura”), scritti insieme a Dong Chun, lei legge le opere di questi artisti confrontandoli a due a due. Non tenta una storia dell’arte ma un confronto tra la pittura europea e la poesia cinese, una combinazione inaspettata.

Guardando le opere di Alfonso Frasnedi ho imparato a amare l’arte italiana. Così di fronte all’opera che è in prima di copertina del catalogo, Dong Chun e io abbiamo pensato a un’espressione che si usa molto in Cina: “La ragazza del cielo versa petali di fiori”. E ancora a un’altra espressione: “I fiori cadono dal cielo”. Queste immagini si producono perché i cinesi hanno una pittura figurativa, non sono abituati alla pittura astratta. Per esempio, oggi ho fatto una passeggiata nel centro di Bologna e, mentre volgevo lo sguardo qua e là, ho pensato a una massima cinese, per qualificare la bellezza della vostra città: “Colore antico, profumo antico”. Bologna è una città in cui la vista dei portici accorcia le distanze e il ciottolato della strada attenua il rumore della terra.

Non sono pittore, ho sognato di divenirlo e mi è parso di realizzare il mio sogno. Amo i pittori. I commenti che Dong Chun e io abbiamo scritto sono accompagnamenti poetici. Ho incominciato a amare l’arte italiana, l’arte occidentale, astratta, perché è un’arte che lascia immaginare. Nella pittura tradizionale cinese ci sono tre elementi essenziali: la pittura, la poesia e la calligrafia. Quando un cinese guarda un dipinto pensa a una poesia; una buona poesia offre un bel quadro; nella tradizione cinese, in ciascun quadro trovate una poesia scritta in caratteri calligrafici. Dunque, nel quadro tradizionale cinese c’è la pittura, la poesia e la calligrafia. È a partire da questa angolatura che abbiamo apportato a queste opere un taglio cinese. E troviamo questi lavori molto interessanti.

Esiste un aforisma anche in italiano: “Tradurre è tradire”. Per principio, la poesia tradizionale cinese è intraducibile, quindi, traducendola, abbiamo perso molte cose. Tuttavia, Dong Chun e io abbiamo proseguito questo lavoro per promuovere lo scambio tra l’Oriente e l’Occidente, perché il Bosforo che separa l’Oriente e l’Occidente non li separi più. Questo è molto importante anche considerando la drammatica situazione attuale i contrasti fra l’islam e l’Occidente. Bisogna riavvicinare l’Oriente e l’Occidente attraverso l’arte, l’arte del secondo rinascimento.

Lei dice che attraverso l’arte può esserci questo scambio. Forse anche attraverso la cultura. Ma, che ne è oggi in Cina della millenaria cultura cinese e come interviene invece la cultura della modernità?

È un problema che si pone nella Cina moderna. L’eroe del mio secondo romanzo uscito da Spirali, Gli amanti del lago, incontra questa contraddizione: è confuso perché è perseguitato in Cina, ma poi, andato in Francia, ha avuto difficoltà a adattarsi al clima occidentale. Influenzato da Confucio come suo padre, non ama una società troppo materialista. La società occidentale per certi versi è troppo materialista. In Francia alcuni lettori mi hanno posto alcune questioni: venuto in Francia, questo cinese è del tutto libero di sposare una francese. Perché non ha voluto? Perché è influenzato dal pensiero cinese, dal pensiero taoista. Forse avrete letto il libro Il Tao e le sue virtù, tradotto in italiano con il titolo Il libro della via e della virtù. Il Tao è un concetto puramente cinese, non è la via, il cammino, è qualcosa di molto misterioso, è un potere regolatore, che regge l’universo, che ne mantiene l’equilibrio. Lao Tse, filosofo della Cina antica, ha detto che il Tao, nel suo movimento, conduce necessariamente al suo contrario. E l’evoluzione della società umana ha in qualche modo provato questa formulazione di Lao Tse. È ciò che volevo esprimere nel mio romanzo.

Nel mio primo romanzo, I bambini di Yan’an, ho alluso  alla Lunga marcia. Tanti giovani hanno dato la vita per la fondazione della Repubblica Popolare Cinese, ma chi ha preso il potere ha stabilito un potere totalitario. È una tragedia: un potere che è sorto da una rivoluzione popolare. È accaduto come per il baco da seta: lavora giorni e giorni, tesse un bozzolo in cui c’è la seta, ma, una volta tessuto, che cosa succede? Si trova chiuso in un bozzolo. È quello che è successo in Cina: abbiamo fatto la rivoluzione e abbiamo fabbricato una macchina di repressione.

Nel secondo libro ho cercato di spiegare il pensiero cinese. In Francia, per esempio, i giovani godono della vita immediata, ma l’eroe del mio romanzo è molto differente, non ha voluto sposare la francese perché, com’è scritto nel capitolo trentesimo del libro Il Tao e le sue virtù, al suo apogeo l’essere incomincia a cadere. Quando si scala una montagna, arrivati in cima, che cosa si fa? Si riscende, non si può che scendere. Sto spiegando perché questo eroe non ha voluto sposare la francese innamorata di lui e di cui lui era innamorato. Ho conosciuto questo giovane, è una persona realmente esistita, un bravissimo ragazzo, che aveva una bellissima ragazza e, dopo la rivoluzione culturale, quando l’ho rivisto, a cinquant’anni, era già vecchio, con i capelli bianchi, aveva voluto nascondere la bella immagine che la francese aveva conservato di lui. In un romanzo francese che s’intitola Il discepolo, l’autore, Paul Bourget, dice: “Ogni animale è triste dopo il piacere”.

C’è una coincidenza fra il Tao e la rivoluzione comunista? E qual è il modo per uscire dal bozzolo oggi? Occorre uscire dal Tao o c’è un altro modo per uscire dal bozzolo?

In Occidente c’è il concetto di alienazione e credo che l’alienazione sia una legge universale, ma i dirigenti della rivoluzione cinese non hanno capito il problema dell’alienazione. Quando Nixon è andato in Cina, ha invitato André Malraux negli Stati Uniti e gli ha chiesto che cosa pensava di Mao. Malraux ha detto: “Era rivoluzionario, ora non lo è più”. All’epoca non avevo capito, ma ora capisco, che ogni potere corrompe e Mao non è sfuggito a questa legge. È lo stesso dramma che è intervenuto in Russia: la rivoluzione ha ucciso i suoi figli. I miei genitori hanno aderito alla rivoluzione cinese negli anni trenta. Entrambi hanno fatto la guerra di liberazione, ma dopo la presa del potere del Partito Comunista Cinese, entrambi sono stati perseguitati e non sono riusciti a sopravvivere alla repressione. La rivoluzione ha divorato i suoi stessi figli. Ho spiegato questo nell’altro mio romanzo Le stelle filanti: come dice Louis Michel, ogni potere corrompe, e, come dice Stendhal, il potere assoluto corrompe assolutamente. Questo spiega che cosa è accaduto in Unione Sovietica e in Cina. Lei mi chiedeva come uscire dal bozzolo. Forse è un’idea utopica: accedendo alla sovranità popolare, alla sovranità del popolo. In Cina, per esempio, bisogna stabilire un altro potere, un potere regolatore, un potere coercitivo. Senza un potere coercitivo, tutti possono essere corrotti. Un partito politico al potere è molto pericoloso, sopra tutto un partito unico.

In Cina non ci sono elezioni?

Ci sono, ma non sono libere. Il suffragio universale, nato dalla rivoluzione francese, è una forma di democrazia, ma i regimi totalitari hanno dimostrato che non basta. Hitler è stato eletto a suffragio universale. Quindi, bisogna fare il possibile perché i rappresentanti del popolo, eletti dal popolo, non divengano i padroni della società.

Dopo il comunismo, c’è qualcosa d’interessante nella cultura cinese? Che ne è oggi dell’intellettualità in Cina?

In Cina, sopra tutto nella Cina moderna, le illusioni prometeiche sono perdute nella storia, non restano che i soldi e i loro sottoprodotti ideologici. È drammatico. Per addormentare la gente, si sviluppa una sottocultura, la cultura di massa, si lascia che i giovani guardino i feuilleton televisivi  e non rimane più niente. Per i cinesi oggi al primo posto ci sono i soldi e al secondo il piacere. La televisione è diventata uno strumento per addormentare la gente. E poi i nostri presidenti preconizzano lo sviluppo. Balzac si chiedeva: “Quale sviluppo? Quale progresso?”. La società cinese è tradizionalmente basata sulla non concorrenza e l’antiattivismo, mentre per risolvere gli squilibri della società cinese oggi viene privilegiato lo sviluppo economico. In questo modo è stato distrutto l’ecosistema, non solo della natura ma anche della mente.

Oggi c’è un gran mito dell’economia cinese nel mondo. A che costo? Per esempio, Pechino non è più la città della mia infanzia. Era circondata da mura, le mura erano costeggiate da un bel fiume e al bordo del fiume c’erano i salici piangenti. Da bambino mi divertivo lungo il fiume, sotto il cielo blu. Ora, andate a vedere, l’inquinamento è molto pesante e la città è distrutta con la modernità. In Italia conservate bene i monumenti storici. Il centro di Pechino oggi è in stile americano, con i grattacieli di vetro che rendono l’estate invivibile perché tutto questo vetro riflette il calore. La  città è molto sviluppata, ma la Pechino della mia infanzia non esiste più, hanno raso al suolo le mura.

Che ne è oggi  della famiglia cinese, per esempio nel rapporto tra padre e figlio?

La società cinese è basata sulla non concorrenza, perché Confucio preconizzava l’armonia nei rapporti umani. Dopo la riforma è stato introdotto il concetto occidentale di concorrenza che è stato applicato in tutti i campi. I rapporti umani si sono raffreddati, perché la concorrenza elimina l’altro, con risultati perniciosi per la famiglia cinese. Infatti, secondo il confucianesimo, la pietà filiale è un elemento essenziale all’equilibrio della società, mentre ora i soldi hanno distrutto tutto.