PER MARIELLA SANDRI

Qualifiche dell'autore: 
cifrematico, brainworker, presidente dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

Mercoledì 24 agosto è deceduta Mariella Sandri, autrice e responsabile della redazione di Ferrara di questa rivista. Pubblichiamo il testo che il nostro direttore ha letto a San Bartolomeo in Bosco (FE), il 27 agosto, durante le esequie.

Il caso di Mariella Sandri costituisce la prova che il disagio è l’introduzione delle cose nella parola. Il disagio che l’ha portata alla psicanalisi, nell’autunno del 1983, anche a seguito di un intervento chirurgico, era un’esigenza di parola. Un’insofferenza per i luoghi comuni, gli stereotipi, le piccole e grandi omertà della vita quotidiana, un’insopportabilità dei convenzionalismi, dei conformismi e dei cerimoniali sociali. Quella giovane e bellissima donna, quell’insegnante inquieta cercava la libertà della parola, non i luoghi dei discorsi. Per questo accolse con entusiasmo l’idea di venire a Bologna per le conversazioni culturali, le riunioni organizzative, le conferenze che l’Associazione Psicanalitica Italiana organizzava in quella città. E questo entusiasmo intellettuale crebbe quando a Senago, nel novembre ‘84, appena un anno dopo, partecipò all’inaugurazione della Villa San Carlo Borromeo, trovandosi tra intellettuali come Borges, Arrabal e Ionesco e incontrando per la prima volta Armando Verdiglione. Curiosa, attenta, senza timidezza, felice di trovarsi in quella festa della parola a cui sapeva di appartenere, nel mito, da sempre. Festa della parola che volle portare a Ferrara quando, quell’anno, organizzò al centro Massari, con un pubblico bellissimo, una mia conferenza. Festa che continuava pochi mesi dopo, nel maggio ‘85, al congresso internazionale di Ravenna e in cui era già protagonista, come esuberante intervistatrice di Marek Halter e di Lukas Foss per le radio di Ferrara.

Nel frattempo, la provincia Italia aveva scagliato contro quella villa alle porte di Milano, in cui si recava ciascuna settimana, e contro Verdiglione, un attacco illiberale e inculturale senza precedenti. Quest’affaire della parola che pesò su tanti sedicenti psicanalisti e intellettuali, fu per lei ragione di vita, un impegno straordinario in una quindicennale battaglia intellettuale, da allora, mai venuta meno. Anche qui senza rispetto per il luogo comune: basti dire che proprio nel momento in cui la casa editrice Spirali era sotto attacco e i pavidi l’abbandonavano, lei ne divenne socia, perché la generica solidarietà non le bastava. E investì quel che non aveva, come occorre che sia, certa che avrebbe ritrovato il centuplo.

A quell’investimento seguì la sua partecipazione come socia fondatrice della casa editrice Spirali/Vel, nel rischio assoluto di chi non aspetta di avere per fare e procede dall’apertura, dalla speranza non soggettiva. E mentre il linciaggio contro la cifrematica infuriava, invitò Armando Verdiglione a Ferrara, prima sfidando il conformismo, poi scommettendo sull’intelligenza dei suoi concittadini. Da allora, quasi ciascun anno, aveva rinnovato l’invito a Armando Verdiglione, e non è mai stato un invito facile.  E, oltre a lui, ha portato a Ferrara scienziati come Georges Mathé e Paolo Pontiggia, economisti come Emilio Fontela, pittori come Ferdinando Ambrosino e Alfonso Frasnedi, poeti come Bella Achmadulina, scrittori come Cristina Frua De Angeli e Vladimir Maksimov, informatici come padre Roberto Busa. Un vento d’internazionalismo che Ferrara non aveva mai incontrato prima e che ha tratto la città nel secondo rinascimento. Quello stesso vento l’aveva portata a partecipare a congressi internazionali a Parigi, a Ginevra e, come membro dell’equipe organizzativa, a San Pietroburgo, nel 1992: tre viaggi in Russia, al colmo della gioia. 

Ma prima, nell’autunno ‘86, in via Frizzi, aveva inaugurato la sua pratica come psicanalista in uno statuto intellettuale incompatibile con psicofarmaci e psicoterapie. Fin dall’inizio si è trattato di clinica dell’ascolto, non di un rimedio al disagio ma dell’instaurazione di un dispositivo di parola per la riuscita di ciascuno. E dall’ascolto e dalla sua ininterrotta formazione nell’esperienza della tripartizione dell’Associazione di cifrematica, sorgono le sue equipe di lettura e le sue conferenze, iniziate nel 1985 e concluse, appena tre mesi fa, con un corso dal titolo La clinica della vita, che ha riempito di pubblico ogni primo mercoledì del mese la sala dell’Arengo. Non a caso, perché in esse la cifrematica veniva divulgata con grande precisione teorica ma con una scrittura briosa e leggera che, puntando alla comunicazione, giungeva alla semplicità e all’intendimento del messaggio. Per questo, attorno a lei si era costituita prima un’equipe, che partecipava all’associazione culturale Progetto Emilia Romagna, di cui era cofondatrice e vicepresidente, e poi l’associazione Il secondo rinascimento, che nel ‘93 inaugura un’altra straordinaria avventura, la galleria libreria Il secondo rinascimento di Ferrara, in via Terranova. Dieci anni di dibattiti, mostre e incontri, ma prima di tutto di vendita di libri di psicanalisi, di cifrematica, d’arte e d’impresa che offrono un apporto essenziale e specifico alla civiltà e a questa città. E poi le esposizioni delle opere degli artisti del secondo rinascimento. Dieci anni di libri e quadri: non qualcosa di complementare alla psicanalisi, ma prodotti indispensabili alla clinica cifrematica. Scriveva nello scorso numero del nostro giornale: “Il capitale della nostra produzione non c’è già, al capitale si giunge lungo l’itinerario, e occorre che ciascuno divenga capitale proprio avvalendosi di questi prodotti”. Oggi questi libri e questa grafica d’arte proseguono il loro viaggio nella sede di Spirali in corso Giovecca, base per la loro ulteriore diffusione a Ferrara, in Emilia Romagna e altrove.

In questi ventidue anni, Mariella Sandri si è distinta, tra noi e in tutta la città, per la sua dedizione e lealtà assoluta all’esperienza di cifrematica. Non per ossequio o doverosità, ma perché per lei era la sua vita, era la cosa più importante. Più importante della famiglia anagrafica, dell’amatissimo padre, della mamma, di Giovanni, il marito, di Francesca, la figlia? La questione è che la stessa famiglia è stata tratta nell’esperienza e ne ha tratto forza, perché per lei non c’erano l’alternativa, i compartimenti stagni, il festivo e il feriale; ciascuna cosa traeva interesse o diventava essenziale perché entrava nell’esperienza e nei dispositivi, perché veniva integrata nel viaggio della parola che non conosce concorrenza e alternativa. Per questo nessuna inimicizia, nessuna polemica, nessun rancore, sempre l’apertura, spesso un motto di spirito, sempre il sorriso. E quante volte abbiamo approfittato ora di un suo suggerimento discreto, ora di un suo intervento ingegnoso, che, in assenza di moralismo e di severità, rendevano semplici tante questioni ingarbugliate e coglievano l’essenziale delle cose.

Noi siamo qui non per l’estremo saluto, ma per starle vicino in quest’ulteriore viaggio. C’è un dispositivo anche per esso. Ci lascia i suoi scritti, e pubblichiamo un inedito nel numero 15 della rivista “La città del secondo rinascimento” (cfr. articolo seguente; n.d.r.), così ciascuno potrà portare con sé l’azzurro sereno dei suoi occhi, ma sopra tutto il colore della sua voce. Noi proseguiamo il suo esempio, noi assumiamo la sua scommessa di verità e di riso, l’impresa della parola, a Ferrara e altrove. Perché, come scrive nel suo ultimo articolo pubblicato: “Vivere d’infinito è il compito di ciascuno, vivere instaurando dispositivi intellettuali e producendo utensili che contribuiscano al business della nostra vita, che comportino un profitto secondo la logica della nostra parola. Profitto che segue alla vendita, profitto intellettuale. Profitto: ovvero, ciò che resta di quel che si va facendo secondo l’occorrenza”.