LO ZERO, IL NOME, LE DONNE

Qualifiche dell'autore: 
cifrematico, presidente dell'Associazione Il secondo rinascimento di Ferrara

La questione donna incomincia a enunciarsi nel rinascimento, come questione dell’itinerario, dell’arte e della cultura: da qui l’irruzione delle donne sulla scena occidentale, quando s’instaura lo zero nella parola, ovvero il conto incomincia da zero, il racconto s’avvia per uno zero. Così il nome non è più nominabile e attribuibile.

Lo zero è stato portato in Europa dagli arabi attorno all’anno mille, ma la sua funzione risultava molto inquietante, per cui è entrato nel conto, nel contare, nel racconto solo nel rinascimento. Ci sono voluti poi Gottlob Frege e, sopra tutto, Giuseppe Peano perché risultasse essenziale, perché la funzione di zero non risultasse l’azzeramento.

Lo zero non è il nulla ontologico, il negativo, ma qualcosa incomincia quando si enuncia questo numero che non localizza l’inizio, che non è il garante ontologico della numerazione, garante del conto. Sarebbe il fondamento della genealogia, dell’attribuibilità del nome per consentire la significazione delle cose.

Questo zero illocalizzabile, questo anonimato del nome non esiste una volta per tutte, ma in ciascun atto di parola. Senza questa funzione di zero le donne sarebbero rimaste legate all’ideologia greca della significazione, che presuppone la localizzazione del negativo, ovvero verrebbero considerate muse o parche, sacerdotesse cariche di venerazione (termine che deriva da Venere) e del rispetto che si deve a chi è garante, come voleva Aristotele, della riproduzione e della genealogia. Le donne sono entrate nella parola con il rinascimento, quando si sono avviate le imprese, la finanza, le assicurazioni, in seguito all’introduzione dello zero. Da allora, le donne, per instaurarsi nella parola, esigono che l’impresa sia intellettuale, non tributaria della riproduzione e della genealogia.

Nessuna meraviglia se dalla finanza e dall’economia di stampo illuministico, tolto lo zero e il nome, le donne sono state espunte o relegate a ruoli e a compiti marginali. L’illuminismo ha proposto i diritti dell’uomo, ma la via della riuscita delle donne poteva passare attraverso l’estensione a loro di tali diritti? Queste sarebbero le cosiddette pari opportunità: parificare, omologare le donne agli uomini. L’altro modo è fare delle donne il segno della differenza, mantenendo così l’idea di genere attribuito al sesso. Ma rappresentare la differenza, nella donna, comporta ancora l’omaggio al sesso unico che è quello dell’androgino. È a partire dal sesso unico che le donne sono legate al genere. Invece, maschile e femminile sono maschere nella sembianza, non esistono in quanto tali, non rappresentano la differenza, se non in modo naturalistico, quindi, non intellettuale. L’impresa con cui le donne s’instaurano nel rinascimento è un’impresa nuova, è un’impresa intellettuale. Con l’instaurazione dello zero, che vanifica ogni rappresentabilità, ogni significabilità, le donne entrano nella parola, ossia divengono dispositivo intellettuale, senza bisogno di delegare il cervello della vita a chi è supposto provvisto di autorità, né di attendere il principe azzurro che le riscatti dalla schiavitù della strega, dell’orco e della presunta famiglia d’origine.

L’autorità sta nell’incominciamento delle cose, per questo è proprietà del nome funzionale, innominabile e anonimo, anziché garante della genealogia. E l’impresa di ciascuno incomincia grazie a questa funzione di nome. Ma come mai, oggi, spesso la breccia aperta dal rinascimento sembra chiudersi e riportare la calma e la normalizzazione? Come mai c’è ancora qualche donna che spreca i propri talenti in attesa dell’uomo che finalmente porterà la felicità nella sua vita, uomo senza il quale non ha niente oppure non è nessuno? E ancora, come mai donne e uomini si considerano anonimi e per questo hanno bisogno del riconoscimento di chi è considerato possessore di un nome? La delega al cervello, delega del dispositivo del viaggio, passa prima di tutto per la delega della funzione di nome. La delega cessa nel momento in cui interviene la questione donna quale indice dell’anonimato del nome. È il nome a essere anonimo, non la donna, e non c’è un nome che possa governare un altro nome, non c’è nome del nome. Non c’è chi garantisce il funzionamento ad altri, per esempio alle donne, ma non solo. Come non c’è chi goda e chi subisca.

Alle donne il godimento è sempre stato interdetto, ma per paura. Diceva Armando Verdiglione nel numero 10 della nostra rivista, a proposito dell’islam: “La paura della morte diventa paura della donna. Tutto un sistema, costruito sulla paura della morte. Tutta una serie di vincoli, di proibizioni, di prescrizioni, di negatività, perché la donna sia solo lì, senza piacere. Quindi, anche la clitoride dev’essere magari tagliata. La donna sta a procreare! […] il piacere è una cosa, che spetta, semmai, solo agli uomini”.

Il discorso occidentale da sempre ha attribuito alle donne il male, il peccato, l’incesto, per questo il discorso dell’islam – non il suo testo la cui lettura è ancora da compiere – partecipa del discorso occidentale, nella misura in cui abbonda di luoghi comuni dilaganti in ogni famiglia, in ogni azienda, in ogni scuola, dove, quando non si pone la questione donna, troviamo le donne quali segno della differenza sessuale. Il discorso occidentale evita la questione per comodità, per principio di piacere, segue la via facile, dove le donne non esistono se non come supporto dello stesso discorso, della stessa genealogia, dello stesso sistema. Ma ciascuna donna, con il rinascimento, con l’instaurazione dello zero nella parola, ha la chance di divenire imprenditrice, rischiando in assoluto e in proprio, senza rimando, senza remore, senza riserve. È su questo tipo di donna che si basa l’avvenire della finanza, dell’impresa, dell’industria, della vendita in Italia e nel pianeta. La donna non ha più da vendersi, per questo può vendere, così come non ha più da rappresentarsi figlia, ma può divenire protagonista, senza dovere confrontarsi con l’uomo, senza dovergli alcun tributo e senza cercarne alcun riconoscimento. Divenire donna è divenire artista, non assumere la differenza.