I BENI ARCHITETTONICI E ARTISTICI: LA VERA RICCHEZZA DELL’ITALIA

Qualifiche dell'autore: 
ingegnere, presidente dell’Impresa Costruzioni Scianti SpA, Modena

La vostra impresa, che a Modena ha restaurato monumenti come il Palazzo Ducale e il Teatro Storchi, sta per compiere centocinquant’anni. In che modo per voi il restauro è restituzione alla civiltà?

Per noi il restauro è una questione di sensibilità e legame con la città e il territorio, al punto che diventa parte della vita nostra e di chi con noi lavora alla conservazione dei beni. Negli anni, ci siamo dedicati a importanti interventi considerandoli come un settore di nicchia della nostra attività, senza pensare che al restauro sarebbe stata data l’importanza che ha attualmente.

Abbiamo restaurato la chiesa di san Vincenzo, il collegio e la chiesa di san Carlo, la chiesa di sant’Agostino, la sinagoga, la Galleria Estense e il teatro Storchi, per citare alcuni monumenti importanti. Un lavoro di grande soddisfazione è stato il recupero della Pieve di Renno, che è dell’anno 800, dove abbiamo trovato la tomba del nonno di Raimondo Montecuccoli.

A me è sempre piaciuto avere a che fare con oggetti e edifici antichi, ma è una passione che mi ha trasmesso mio nonno, con il quale sono cresciuto, poiché mio padre era in guerra. La chiesa di Collegara sembra del settecento, ma è dei primi del novecento e l’ha costruita mio nonno, che ha restaurato anche il Palazzo Ducale e così ha avuto modo di conoscere Giuseppe Graziosi e di collaborare con lui.

Per voi la cultura, che sta alla base dell’attenzione all’arte e alle cose belle, proviene da una tradizione…

Più che da una tradizione, proviene da una sensibilità familiare, se pensiamo che il mio bisnonno, per fare il muratore, andava da San Damaso a Nonantola a piedi tutti i giorni. Devo a mio nonno molto di ciò che ho imparato e che poi ho trasmesso alla nostra impresa, che si avvale di operai bravissimi nell’intervento conservativo, eseguito con grande cura e abilità tecnica.

Nella conservazione sono stati fatti passi notevoli, anche se c’è ancora molta strada da fare e gli esperti devono impegnarsi di più per promuovere questa cultura. Noi l’abbiamo sempre fatto. Per esempio, finita la guerra, mio padre ha ricostruito e restaurato la chiesa di san Vincenzo, in corso Canalgrande, il pantheon degli Estensi. Ne ricostruì la cupola, che era stata bombardata, seguendo il criterio usato per quella di santa Maria del Fiore, a Firenze, a spina-pesce, e per me – che ero un ragazzino – fu un’esperienza bellissima.

Se un tempo la cultura del restauro apparteneva solo a un’elite, oggi sta entrando nel sentire comune. Però occorre incominciare a distinguere: non si possono dedicare risorse a conservare edifici considerati caratteristici, ma che non sono nati come oggetti artistici, come, per esempio, una stalla del 1800, mentre si lasciano andare in malora i monumenti. In una nazione come l’Italia, che ha il suo petrolio proprio nell’arte, occorre fare queste considerazioni e valorizzare le nostre ricchezze. Nella nostra città, per esempio, ogni anno circa 200.000 persone visitano il circuito di Maranello. La speranza delle istituzioni è di portarne almeno 180.000 a Modena, nella casa di Enzo Ferrari, che sarà trasformata in museo (grazie al lavoro di sette imprese di costruzione, fra cui la nostra). Ma perché dobbiamo limitare la visita a questo, quando abbiamo una Galleria Estense, trascurata dai modenesi, dove abbiamo capolavori assolutamente unici al mondo?

L’Italia è meravigliosa e occorre valorizzarla…

La nostra impresa ha una sensibilità in questa direzione e il nostro contributo è quotidiano. I beni architettonici e artistici devono essere uno degli argomenti centrali di dibattito nella nostra vita nazionale e privata, il turista può trovare il mare anche in altri paesi, invece, monumenti e opere d’arte in abbondanza li trova solo in Italia. Il mare e la buona cucina possono costituire elementi di attrazione, ma non bastano. Dobbiamo accogliere i turisti e portarli dove abbiamo l’interesse che vadano, anche perché, non potendo visitare tutto in una volta, li invogliamo a tornare nel nostro paese. La forza di ciascuna attività è data dalla fedeltà del cliente e noi dobbiamo arrivare a questo anche nell’ambito dei beni culturali. Occorre, però, l’impegno a promuovere la sensibilità verso il settore.

In che modo l’approccio al restauro può essere differente per un’impresa che, come la vostra, non si limita a fare il proprio lavoro, ma dà un contributo alla cultura del restauro?

Per un imprenditore edile, un conto è eseguire un restauro o costruire ex novo perché è il suo lavoro e un conto è farlo sentendo di dover dare qualcosa. Una leggenda intorno alla costruzione della cattedrale di Chartres narra di un viandante che s’informa sulle mansioni che svolgono gli operai del cantiere. C’è chi dice che fa lo scalpellino e chi il muratore. Finalmente, una persona gli risponde che costruisce cattedrali. Quello è il vero costruttore, perché in ciò che fa mette la sua anima, non solo la sua opera.

C’è da dire che purtroppo nel nostro settore spesso lavorano aziende improvvisate. Se ci fossero leggi più rigorose, nell’interesse di chi opera, non avremmo neanche la crisi attuale. Le banche che oggi rifiutano i prestiti sono le stesse che ieri li hanno concessi a tutti, con il risultato che ora siamo invasi da appartamenti nuovi. I veri costruttori, che fanno questo mestiere da anni, non si troveranno mai in una situazione d’irregolarità e di poca serietà professionale, perché non vogliono compromettere il loro nome e il loro avvenire.