ACETO BALSAMICO DI MODENA. UNA PROPRIETÀ INTELLETTUALE

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socio di Fattorie Giacobazzi, ambasciatore del Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena

Cosa significa l’IGP per l’Aceto Balsamico di Modena per chi, come la sua famiglia, si è tanto impegnata negli anni per il suo ottenimento?

È il coronamento di una battaglia per il riconoscimento di ciò che abbiamo sempre considerato un pieno diritto dei territori modenese e reggiano, guadagnato con il perpetuarsi nei secoli di questa antichissima tradizione, indubbiamente unica al mondo, di produrre aceto direttamente dall’uva. In famiglia abbiamo sempre creduto nel grande ruolo commerciale che il balsamico può avere come simbolo trainante dell’agroalimentare modenese. Già oltre vent’anni fa, a causa della posizione sempre più contrastante nei confronti dell’Aceto Balsamico di Modena da parte di molti produttori di Aceto Balsamico Tradizionale, mio fratello Angelo riunì tutte le maggiori aziende modenesi in un consorzio (Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena) che potesse vigilare sulla salvaguardia e promozione del prodotto (quello “Tradizionale”), nella consapevolezza che non fosse competitivo ma sinergico all’Aceto Balsamico di Modena. Dopo aver raggiunto l’obiettivo di imbottigliare il primo prodotto DOP, alla fine del 2003 Angelo diede le dimissioni per permettere alle Istituzioni (Provincia, Consorteria e Camera di Commercio) di rifondare il Consorzio con propri rappresentanti. Da allora, chiamato come consigliere, io stesso ho prestato la mia opera per promuovere, in Italia ed all’estero, l’immagine del Balsamico Tradizionale, sempre accanto a quella dell’Aceto Balsamico di Modena. Insieme al presidente Enrico Corsini e agli altri consiglieri abbiamo lavorato molto anche per certificare e valorizzare un gran numero di acetaie familiari e per sostenere anche i piccoli produttori. Così siamo riusciti a dimostrare non solo al mondo dei consumatori, ma anche ai modenesi, che i due balsamici sono diversi ma complementari, ciascuno con proprie peculiarità, dignità e potenzialità. 

Oggi quindi la IGP che si è venuta ad affiancare alla DOP costituisce un vantaggio? 

Certamente un gran vantaggio, poiché stabilisce definitivamente la titolarità modenese e reggiana di un’antica tradizione che non ha eguali nel mondo ma oggi sempre più imitata. Questo è però solo un buon inizio per difendere il balsamico a pieno titolo dalle contraffazioni.

Come considera la designazione dei vitigni anziché della territorialità delle uve tipiche per l’approvvigionamento dei mosti? 

A torto o a ragione, la limitazione alle uve della regione veniva considerata a Bruxelles una violazione alle norme europee della libera circolazione delle merci. Per questo, proprio la Provincia di Modena fece la proposta dei sette vitigni che poi è stata adottata. Personalmente, penso che sia positiva: per mantenere grandi potenzialità un prodotto deve avere un prezzo competitivo. Limitare l’origine delle uve alla regione Emilia Romagna avrebbe causato un importante aumento della richiesta, con proporzionale innalzamento dei prezzi, che avrebbe danneggiato le potenzialità di vendita non solo del balsamico ma anche, per esempio, dei nostri vini tanto apprezzati all’estero. Invece, la scelta dei sette vitigni porta diverse opportunità: al produttore quella di utilizzare, almeno per i prodotti di più alta qualità, proprio le uve regionali (obiettivamente superiori); ai nostri viticoltori quella di avere, a condizione di competitività, un mercato alternativo a quello dei vini; al consumatore quella di poter acquistare l’aceto a un prezzo non troppo maggiore rispetto anche alle eventuali contraffazioni. 

Quindi la tipicità è limitata alla produzione, ma non all’origine della materia prima?

Certamente. D’altra parte la DOP, per l’eccellenza dell’Aceto Balsamico Tradizionale, stabilisce l’obbligatorietà delle aree tipiche per i mosti, la produzione e l’invecchiamento, oltre che per l’imbottigliamento del prodotto. Questa IGP invece, per l’aceto da grandi volumi, vuole certificare con il prodotto anche la proprietà intellettuale modenese-reggiana, intesa come “antico saper fare” o, come si dice oggi, “originale” know-how. Per questo le uve possono non essere locali. I nostri bravi produttori avranno interesse a lavorare meglio per garantire una qualità superiore che promuova sempre più la tipicità, mentre l’imbottigliamento fuori zona permetterà comunque di non perdere la larga fetta di mercato oggi costituita da imbottigliatori esteri o da industrie conserviere che, se limitati nella attività, si rivolgerebbero inevitabilmente al mercato della contraffazione. In definitiva, anche se da molti viene considerato troppo ampio e insufficiente, il disciplinare della IGP ci permette di cominciare a difendere il diritto del territorio di godere dei frutti delle nostre tradizioni. Certamente se molti anni fa ci fosse stato accordo fra tutti i produttori, il disciplinare IGP avrebbe potuto essere molto più ristretto; anche questa IGP però, allo stato attuale, è sicuramente un buon punto di partenza che permetterà anche, eventualmente, di migliorare le norme non ottimali, ma a patto che fin da ora produttori e istituzioni collaborino per una sempre migliore promozione dei nostri prodotti. Questa IGP apre un capitolo nuovo per l’economia modenese e dobbiamo darne merito a tutti coloro – produttori, istituzioni e Ministero – che si sono tanto impegnati per l’ottenimento.