LA BATTAGLIA PROCEDE DALL’IRONIA

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Qualifiche dell'autore: 
Brainworker, scienziato della parola, presidente dell’Istituto culturale “Centro Industria”

Qualche tempo fa ho intervistato per una emittente radiofonica uno tra i più interessanti intellettuali italiani, Francesco Saba Sardi, che mi ha sorpreso quando ha avvertito che non sarebbe stato al gioco della domanda e della risposta con cui spesso il giornalista tenta di trasformare l’autore nel personaggio che crede di conoscere già. È stata una tra le interviste più interessanti che mi sia capitato di fare. L’interlocutore era divenuto d’un tratto ignoto: in questo modo ho potuto incontrare lo scrittore, non il personaggio. 

Cosa comporta che l’interlocutore sia ignoto? Che la conversazione non si svolga secondo il dialogo platonico, secondo l’interrogazione fondante la risposta, sì o no. Comporta che l’incontro avvenga nel racconto e la testimonianza si volga in malinteso, giungendo all’intendimento. Questo accade nel libro Fisimario 2008. Lettere immaginarie (Spirali) di Ruggero Guarini, tra i più fervidi e audaci intellettuali italiani. In queste pagine la satira non è più morale, cioè funzionale alla polemica, ma la via dell’intelligenza delle cose. Accade che il lettore sia chiamato a un viaggio inedito, attraverso i protagonisti della letteratura, della scienza, della psicanalisi, della politica e dell’economia. Si tratta di lettere che l’autore immagina scritte da altri, da persone o anche da eventi, come il sessantotto, che non sono contemporanei agli intervistati. Capita così che Karl Marx scriva al ministro Renato Brunetta, Palmiro Togliatti a Vladimir Luxuria, il ‘68 a André Glucksmann, Sigmund Freud a Tahar Ben Jelloun o Alessandro Manzoni al ministro dell’Istruzione Gelmini. 

Di quale giornalismo si tratta con Ruggero Guarini? Giornalismo che insegna e consegna, attraverso la memoria, invitando a leggere udendo. Si tratta di una scrittura che più che vedersi, spettacolarizzarsi, si ode, mentre punta al valore della testimonianza. Per questo non ci sono tabù. L’ironia si coglie fin dagli accostamenti tra interlocutori impossibili che lo scrittore imbastisce nelle sue lettere. Guarini rivela così insospettabili doti di sceneggiatore, disponendo questi interlocutori nel teatro della vita. 

Il libro è una scommessa sull’intelligenza di un lettore non ossequioso alla moda del politicamente corretto. Guarini incontra questo lettore con ben altra politica, una politica che non si fonda sulla messa a morte dell’Altro. È la politica che non si pone nell’alternativa partitica, ma punta alla costituzione della città e del cittadino, che si qualifica in quanto si trova a fare senza rappresentazioni, avvalendosi dell’industria propria alla parola. Così la scrittura di Ruggero Guarini può dirsi scrittura civile e intellettuale. Intellettuale perché dissidente. Questa dissidenza è la non accettazione del luogo comune, della credenza funzionale al regno della paura, è la non accettazione di una verità protocollare. E il giornalista diviene giornalista clinico, cifratore, ovvero testimone. La provocazione è la condizione della sua scrittura, non il suo fine. È provocazione intellettuale, non contro il nemico, non soggettiva. Intellettuale perché mira all’intendimento, intellettuale perché instaura una battaglia per la civiltà. 

Battaglia è un termine oggi bandito e blandito, troppo incisivo per chi crede che il giorno si svolga nella routine. La battaglia è la battaglia per la riuscita, è la battaglia per l’avvenire, esige l’istanza di conclusione: per questo non ha nulla di naturale e l’esito non è scontato. Non c’è civiltà dove non c’è battaglia. E nemmeno città. La civitas si avvale del dispositivo di battaglia, quindi di riuscita, che punta alla cifra, alla qualità assoluta, per la costruzione della città del fare: la città del tempo. La città dell’ospite è la città che accoglie dispositivi nuovi perché mira alla valorizzazione delle cose. La città non è esente dalla battaglia, che ciascun giorno si avvale dell’arma: la parola. Così accade per chi combatte con la parola, intellettuale, imprenditore o artista che sia. Così accade per chi non può fare a meno della scommessa di riuscita, perciò si dispone all’ascolto in ciascun appuntamento con i vari interlocutori della partita. 

La battaglia procede, come nel caso di Guarini, dall’ironia come modo dell’apertura. Per questo chi combatte in direzione della qualità non ha paura, non sta a chiedersi quale sia il ritorno, non parte dalla fine delle cose prima ancora che incomincino, non si affida alla credenza ma si avvale dell’industria della parola. 

Chi combatte, combatte perché le cose non finiscano, perché ci sia avvenire. Chi si cimenta nella battaglia intellettuale in direzione della qualità non è mercenario perché ciò che resta di ciò che si fa, ciò che resta della ricerca è in direzione del messaggio, che segue al processo di valorizzazione con la vendita e la sua scrittura.

**Il testo di Caterina Giannelli è tratto dal suo intervento al convegno dal titolo Il giornalismo, la satira, la politica (Sala dello Zodiaco, Palazzo della Provincia di Bologna, 1° luglio 2009)