Sergio Dalla Val

  • Ognuno immagina che la tentazione sia diabolica perché offrirebbe la sostanza per la riuscita facile. “Questo mi tenta”, oppure “Suvvia, non tentarmi”: così, la sostanza crea il soggetto tentato, che saprebbe o no difendersi dalla tentazione. Soggetto eroe, che resiste, che vive nel principio di ragione sufficiente e del minimo male necessario. Un soggetto, in definitiva, dappoco, come scrive Mark Twain nel saggio Seguendo l’equatore: “Ci sono parecchie difese valide dalla tentazione, ma la più sicura è la viltà”. Di tutt’altra natura la tentazione senza resistenze e difese, la

  • Responsabilità, capacità, efficacia sono significanti che sembrano completamente spariti dallo scenario civile, culturale, economico e finanziario. Nell’irresponsabilità e nell’incapacità di ognuno, a dettare legge e a stabilire l’etica sembrano rimasti la crisi, i mercati, la speculazione, come se fossero personificazioni, soggetti agenti, forze oscure, quasi divinità ineluttabili. Gli stessi fenomeni meteorologici vengono nominati e personificati: l’aumento della temperatura è chiamato Caronte, poi Minosse. Siamo tornati ai tempi dell’antica Roma, in cui, anziché “piove”, si diceva “

  • Vivere non è sopravvivere, cioè scampare a un pericolo di morte, magari rappresentato nel terremoto e nella crisi. Ma sopravvivere è anche “vivere sopra”, aver bisogno di qualcosa su cui poggiare la vita, che valga a sostenerla per motivarla. Come la sostanza, quel che è immaginato sub stare, stare sotto. Tutto può diventare sostanza, tutto serve a sopravvivere anziché a vivere, se deve servire a giustificare, a supportare, a delimitare, a padroneggiare la vita.

  • “Prima di tutto è necessario che si uniscano in coppie gli esseri che separatamente non sono in grado di sussistere, come la femmina e il maschio al fine della riproduzione […] e chi per natura comanda e chi obbedisce per poter sopravvivere”. Con queste parole Aristotele, nella Politica, trae un’equazione con due similitudini: omologa la coppia maschio-femmina con quella padrone-schiavo e giustifica queste coppie con un’esigenza di sopravvivenza, da cui dipende la necessità della riproduzione. E, più avanti, esplicita: “Il maschio è per natura più adatto al comando

  • Come pensare? Qual è l’apporto del pensiero al fare e alla sua scrittura? Come il pensiero opera perché le cose si rivolgano in direzione della qualità? “Tutte le grandi rivoluzioni della vita umana avvengono nel pensiero” afferma Lev Tolstoj, che oscilla tra profezia e ideologia quando prosegue: “Purché si produca un cambiamento nel modo di pensare, l’azione seguirà immancabilmente la direzione del pensiero, come una barca segue la direzione impressagli dal timoniere”. Agli inizi del Novecento, rilancia la questione il filosofo Bertrand Russell: “Gli uomini temono il pensiero più di

  • Chi è interessato alla comunicazione ideale, senza la scrittura, come Platone, o chi bada soltanto all’azione, senza la parola, come il luogo comune, diffida della carta. “Sì, sulla carta è così, però...”, enuncia chi cerca la sostanza, il concreto, i fatti. Così la carta diviene ideale, e innanzi all’ideale ogni testo è cartastraccia, tutti i documenti sono scartoffie. E quel che è di carta non vale niente, non fa nemmeno paura, come la tigre a cui Mao Tse Tung paragonava il capitalismo, “una tigre di carta”, diceva.

  • Per l’antropologia la scena è primaria, non originaria, è illuministica e illuminata: nel deserto, o nella foresta, un viandante, magari un guerriero, ne incontra un altro. Nel silenzio, una smorfia, poi un gesto, forse un dono: ecco lo scambio, l’alleanza, poi la parola. Più tardi, per la linguistica, la parola stessa diventa un elemento che un emittente sceglie di scambiare con un ricevente. Baratto, dono, vendita che sia, in questo modo lo scambio è sottoposto al soggetto, diventa il rapporto sociale. Quando scambiare? Con chi scambiare? In nome della parità sociale, il principio di

  • Nel discorso comune, l’integrazione viene scambiata spesso con l’inserimento, il coinvolgimento, il completamento. Il termine “integro” viene inteso come ciò che è completo, indiviso, totale, addirittura puro. Così l’integralismo, il colmo della purezza, diviene quasi l’opposto dell’integrazione. E, spesso, l’integrazione viene temuta da chi ha paura di perdere la propria integrità.

  • Nel discorso occidentale la materia è sempre stata pensata come massa inerte e amorfa, in attesa di un’anima o di una forma che la vivifichi o la organizzi. Una materia soggiacente, sostanziale (pròton hypokéimenon, “soggetto primo”, la considerava Aristotele), sostrato base per il divenire, dunque esente da divenire. Una materia morta, di cui l’arte deve occuparsi o che deve subire una formazione, una materia al di fuori della parola, che deve significarla o formalizzarla. La linguistica del Novecento, per esempio con Louis Hjelmslev, ha cercato la materia nella

  • Avere le proprie ragioni”, “farsene una ragione”, “non sentir ragioni”: queste e altre locuzioni correnti presentano la ragione in una versione personale, soggettiva, sottoposta all’idea di padronanza. È la ragione subordinata alla facoltà, al controllo: ragione sociale, umana, politica. La ragionevolezza. “Ho bisogno di ragioni, per sottomettere la mia ragione” (Jean-Jacques Rousseau). E tutte le ragioni sono buone perché ognuno si limiti, deleghi, si rassegni, fino alla giustificazione suprema, la ragione di stato.